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mercoledì 28 agosto 2013

"Il Coraggio che sconfisse la paura", tratto dal libro dei diari degli AUC del LI Btg. d'istruzione Bersaglieri


 
Montelungo: Il coraggio che sconfisse la paura

 
Ogni volta che torno a Montelungo, spesso in compagnia dell’amico Paolo Farinosi, mentre percorro le ultime curve e la linea inconfondibile del monte mi appare all’orizzonte, mi tornano spesso in mente le parole dette dal Generale Mac Arthur ai Cadetti di West Point nel 1945.
Le sue parole, che leggerete per intero in fondo a questo scritto, ricordavano ai giovani ufficiali che la giovinezza è uno stato dello spirito che si alimenta con la libertà e l’immaginazione, con le emozioni e l’amore, con il coraggio che sconfigge la paura.
Qui a Montelungo quei ragazzi, venuti da ogni parte d’Italia nel 1943, hanno incarnato le parole del generale americano.
Ogni volta che ho la fortuna di poter stare accanto ad un reduce mi accorgo che non è vecchio, perché il suo ideale non l’ha mai abbandonato; la sua anima non è aggrinzita e il suo amore verso i compagni caduti è immutabile dal giorno in cui li ha conosciuti come l’amore verso coloro che si avvicinano per chiedergli di raccontare la sua storia.
Li ascolto parlare di Libertà con la stessa forza di un giovane liceale che inizia a studiare la storia, la letteratura, la filosofia e comprende quali sono i valori fondamentali di una società, di uno stato.

Chiamati alle armi prima dell’8 Settembre del ’43, decisero, quando tutto sembrava crollare intorno, che l’Italia era una e doveva tornare libera. Il loro essere giovani di diciotto e vent’anni li portò ad affrontare una storia che ai nostri occhi oggi sembra più grande di loro e forse lo era.

Partirono per il sud d’Italia e risalirono la penisola alleandosi con i nemici di pochi mesi prima cercando di conquistare il loro rispetto e giunsero alle pendici di Montelungo, per il loro battesimo del fuoco, dopo un tragitto interminabile, ed entrarono con tutti gli onori, per primi nel 1945, nella Bologna liberata, dopo immani patimenti e tante perdite.

Il loro ideale non li abbandonò mai e quando videro in che condizioni era ridotta la popolazione Italiana, per effetto dei bombardamenti e della fame, la loro voglia di lottare divenne ancora più forte.
Dalla voce dei molti che sono sopravvissuti i ricordi spesso si posano su fatti che hanno segnato il morale di tutti, come la sera prima dell’attacco, quando videro morire senza un lamento il Caporal Maggiore Alfredo Aguzzi che sdraiato raccontava di voler andare al più presto a Roma dalla sua ragazza. Una scheggia di mortaio lo trafisse proprio al cuore.

 Partirono la mattina dell’8 Dicembre del 1943, alle 6.20 in punto e attaccarono la 29a Divisione Panzergrenadiere che disponeva di armi ed equipaggiamenti migliori, oltre che di munite postazioni difensive, invisibili e imprendibili e quando la nebbia, scesa su quella spianata, si diradò e le loro divise estive, in pieno inverno, furono facile bersaglio delle mitragliatrici tedesche e dei cecchini, ci fu subito un massacro di giovani vite.
E dai corpi riversi in terra, dalle parole scritte in precedenza o gridate durante l’attacco arriva quel messaggio che rimarrà giovane per sempre perché è stato raccolto da chi è sopravvissuto e lo continua a tramandare, rimanendo in questo modo giovane fino all’ultimo dei suoi giorni.

 Questo messaggio, che noi abbiamo fatto nostro dopo aver conosciuto il loro stato dello spirito, ora cerchiamo di tramandarlo a voi con questo libro che avete appena letto.
Dal portafoglio del sottotenente Giancarlo Gay, caduto sulle rocce di Montelungo mentre assaltava  un nido di mitragliatrici, appariva un lembo di tricolore con la scritta “Anima mia!”

Mario Cheleschi, nel suo testamento scritto il 30 Novembre del 1943 prima della partenza per il fronte, scriveva: “Lascio da uomo questa vita, non inquieto ma sereno, il Mistero dell’al di là è tanto grande!”

 Giuseppe Cederle, sottotenente, scriveva di voler seguire da vicino i suoi allievi per “servire da vicino la Patria” e gridò, dopo che un colpo di mortaio gli aveva portato via il braccio, “ho dato un braccio alla Patria, non importa, avanti per l’onore dell’Italia” e fu colpito a morte.
E i “bocia diciottenni” Bornaghi, Luraschi, Morelli, Santi, Sibilia, come li ricorda Leone Orioli, bersagliere della 3° Compagnia, erano ragazzi dell’Accademia navale di Brindisi, arruolati volontari nel Cinquantunesimo Bersaglieri per servire la patria, per liberare la nazione.

Non rinunciarono al loro ideale, sfidarono gli avvenimenti con il gusto per l’avventura, rimanendo per sempre giovani ai nostri occhi e a quelli di tutti coloro che salgono le scale bianche di marmo del Sacrario dove riposano i loro nomi.

Ho conosciuto la battaglia di Montelungo una mattina fredda d’Aprile dalle parole di Leone Orioli, un Bersagliere che aveva vissuto quei giorni ed era sopravvissuto.

Piccolo, coperto da cappotto sciarpa e cappello, con grandi guanti di pelle per sconfiggere un freddo per lui forse troppo gelido; appoggiato al muretto di quello che fu l’altare del primo cimitero del 67° Fanteria Legnano.

Ricordo ancora il vapore del suo alito mentre raccontava, sembrava non finire mai, tanti erano i ricordi e i pensieri che si affollavano nella sua mente.

 Nel suo raccontare, in quella voce a volte tremolante a volte debole per l’emozione c’era tutto il dolore di quello che aveva perso, ma tutta la gioia per quello che aveva fatto, per l’essere stato all’altezza della situazione, per essere stato un Bersagliere, temuto e rispettato dagli avversari e per essere entrato a Bologna in un tripudio di tricolori.
Da quel giorno ho iniziato a interessarmi a quella battaglia e a tutto quello che fecero migliaia di soldati Italiani che decisero di non arrendersi, di non darsi alla macchia, ma di organizzarsi in reparti al seguito dei nuovi alleati.

Da quel giorno iniziai a scoprire che le pagine di storia di quei soldati non finiscono mai, tante sono le memorie e i fatti d’armi.

 Ci sono migliaia di storie sepolte dalla nostra indifferenza, decine di battaglie che hanno visto i nostri giovani soldati farsi onore per quello “stato dello spirito” che vedo negli occhi di coloro che sono sopravvissuti e nei figli di questi ultimi.
Paolo Farinosi, che ha voluto fortemente riunire in un unico libro tutti i racconti dei reduci, ha ricevuto quegli ideali che mossero il padre sulle rocce di Montelungo, cosi come Claudio Vigna, il nostro presidente e tutti gli altri che animano quest’associazione.

C’è un filo conduttore, rosso cremisi, che li unisce tutti; ha avuto inizio a Marostica e non avrà mai fine.
Nessuno della mia famiglia ha combattuto nella seconda guerra mondiale, ma sono stato accolto nell’associazione come uno di loro, sono stato avvolto dal quel filo cremisi fino a ricevere l’onore di chiudere questo libro al quale ho dedicato tutto il mio tempo e la mia passione insieme a Paolo.

Volevamo che il messaggio dei Ragazzi di Montelungo, scritto sui diari durante o dopo i fatti bellici, fosse raccolto in un unico grande testo, perché i loro pensieri, guidati dal loro animo, fossero tutti insieme; perché insieme hanno vissuto la loro giovinezza.
Non saranno mai vecchi ai nostri occhi e a quelli delle prossime generazioni ogni volta che sfoglieranno questo libro o le copie successive che ci saranno negli anni.

Idealmente ci rivolgiamo a Te, che leggerai queste pagine, oggi come tra tanti anni; conserva questa memoria.
Se hai curiosità organizza con i tuoi amici un viaggio a Montelungo; sali sul Sacrario, visita il museo e fai un’escursione lungo i percorsi storici che troverai segnati e se sarai stupito e meravigliato e ti domanderai “e dopo?” allora la tua giovinezza vivrà nello “stato dello spirito”, come il loro, come il nostro.

 Ricorda sempre che su questi sentieri è iniziato il nostro secondo Risorgimento e questi sono i tuoi eroi, sono Italiani e devi esserne fiero!
E se ci troverai lì a onorare, restaurare o semplicemente a guardare un’alba o un tramonto sarai sempre il benvenuto, questo è lo spirito dei Bersaglieri e di chi segue con lo sguardo le loro piume al vento mentre corrono verso il domani.

 “La giovinezza non è un periodo della vita. Essa è uno stato dello spirito, un effetto della libertà, una qualità dell’immaginazione, un’intensità emotiva, una vittoria del coraggio sulla timidezza, del gusto dell’avventura sull’amore del conforto. Non si diventa vecchi per aver vissuto un certo numero di anni; si diventa vecchi perché si è abbandonato il nostro ideale. Gli anni aggrinziscono la pelle, la rinuncia al nostro ideale aggrinzisce l’anima. Le preoccupazioni, le incertezze, i timori, i dispiaceri sono i nemici che lentamente ci fanno piegare verso terra e diventare polvere prima della morte. Giovane è colui che si stupisce e si meraviglia, che si domanda come un ragazzo insaziabile: "E dopo?", che sfida gli avvenimenti e trova la gioia al gioco della vita. Voi siete così giovani come la vostra fiducia per voi stessi, così vecchi come il vostro scoramento. Voi resterete giovani fino a quando resterete ricettivi. Ricettivi di ciò che è bello, buono e grande, ricettivi ai messaggi della natura, dell’uomo e dell’infinito. E se un giorno il vostro cuore dovesse esser mosso dal pessimismo e corroso dal cinismo, possa Dio avere pietà della vostra anima di vecchi.”
Discorso del Generale Mac Arthur ai Cadetti di West Point nel 1945

                                                                                                                 Luigi Settimi