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martedì 3 febbraio 2015

1915-2015 100 anni della Prima Guerra Mondiale - Ernesta Bittanti Battisti

Proseguiamo nella serie di documenti, scritti, frasi e racconti della Prima Guerra Mondiale, con la storia di una donna, la cui memoria, le gesta e le idee dovrebbero essere patrimonio di una Nazione.
 
Riportiamo la sua storia dalle informazioni presenti nel portale del Museo Storico in Trento e da un articolo di Walter Micheli.
 
Ernesta, la sua storia, le sue idee le sue gesta, ci rendono orgogliosi di indossare il Tricolore.
 
Riportiamo inoltre, ma solo come nota, la presenza di un bellissimo ed emozionante capitolo su Elena, nel libro "La guerra dei Nostri Nonni" di Aldo Cazzullo, che speriamo nel futuro di annoverare tra gli amici del Cinquantunesimo.



Ernesta Bittanti Battisti,
Figlia di Giuditta Rivara, casalinga, e Luigi, preside e insegnante di matematica. Dopo un'infanzia trascorsa tra Brescia, Cagliari e Cremona, dove compie gli studi ginnasiali, si trasferisce a Firenze, nel 1890. Qui si iscrive alla sezione di Filosofia e Filologia dell'Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento e nell'agosto del 1896 consegue il diploma di laurea con una tesi in storia della letteratura. Nel novembre dello stesso anno inizia a insegnare al Liceo Galileo di Firenze. Nel capoluogo toscano intreccia rapporti significativi con i fratelli Mondolfo, Ugo Guido e Rodolfo, Alfredo Galletti, Gennaro Mondaini e Gaetano Salvemini e conosce Cesare Battisti, destinato a diventare il compagno della sua vita. Nel 1898, a causa della sua attività politica e del suo dichiarato laicismo positivista, viene destituita dall'insegnamento in tutte le scuole del regno. L'8 agosto 1899 sposa civilmente a Firenze Cesare Battisti e si trasferisce a Trento. Qui collabora alla pubblicazione dei periodici diretti dal marito, «Tridentum» (1898), «Il Popolo» (1900), «Vita trentina» (1903), sostituendolo nella direzione durante le sue assenze. Tra il 1901 e il 1910 da alla luce i figli Luigi (Gigino), Livia e Camillo. Allo scoppio della guerra ripara in Italia, a Treviglio e a Padova, dove insegna per mantenere la famiglia. Il 12 luglio 1916 segna la data della sua tragica vedovanza: il marito Cesare, reo di alto tradimento, viene condannato a morte dal tribunale austriaco e impiccato nella Fossa dei Martiri del Castello del Buonconsiglio a Trento. Seguono anni di riflessione, impegno politico e lavoro, di dedizione alla famiglia, ma anche alla memoria del marito, sviluppata attraverso la scrupolosa raccolta di quella che fu l'eredità politica e umana di Battisti. Tra il 1916 e il 1957 dissemina la sua testimonianza storica in una copiosa serie di scritti e pubblicazioni. Nel 1930 si trasferisce a Milano: ha frequenti contatti con gli amici antifascisti Ugo Guido e Rodolfo Mondolfo, Paolo Maranini, Tommaso Gallarati Scotti, Bianca Ceva, Ferruccio Parri e Aldo Spallicci. Sono gli anni della dura presa di posizione contro il regime fascista, espressa talvolta con gesti simbolici e coraggiosi, come quando, nel 1939, infrange le leggi razziali pubblicando su «Il Corriere della Sera» il necrologio per la morte dell'ebreo Salomone Morpurgo. Lascerà Milano nel 1943, costretta a fuggire in Svizzera dall'incalzare dell'evento bellico. Nel 1946 la sua esistenza è nuovamente segnata da un lutto familiare: perde l'amatissimo figlio Gigino in un incidente ferroviario. L'isolamento in cui si ritira nel secondo dopoguerra non le impedisce di partecipare alle polemiche sorte intorno alla questione dell'Alto Adige schierandosi a fianco delle popolazioni alloglotte di questa regione, nell'ambito degli accordi Degasperi-Grüber e delle soluzioni autonomiste e regionaliste. Si spegne a Trento il 5 ottobre 1957, confortata dall'affetto della figlia Livia e dell'amica Bice Rizzi.
Tratto da Museo storico in Trento Onlus

Il fondo Ernesta Bittanti Battisti è conservato presso il Museo storico in Trento (MST) come parte dell'archivio della famiglia Battisti (1890-1978) con segnatura ABT; atto di donazione 12 dicembre 1983, curatore prof. Vincenzo Calì.

 

Ernesta Battisti Bittanti tra i Giusti d'Israele 
di Walter Micheli
Sessant’anni fa, il 5 settembre 1938, con il Regio Decreto   n. 1390 “per la difesa della razza nella scuola fascista” si dava inizio alle leggi razziali in Italia. Nessuno poteva immaginare che l’epilogo di quella sventurata politica sarebbero stati i crematori di Auschwitz, ma lascia sgomenti   constatare  che quel provvedimento passò senza alcuna percettibile reazione  della società italiana. Anzi, soprattutto nel mondo accademico, il più interessato all’esclusione dalle cattedre universitarie dei docenti ebrei, si assistette a scene di invereconda cupidigia per accaparrarsi le  sedi che andavano liberandosi.
Si dovranno attendere gli anni dell’occupazione nazista, successiva all’8 settembre 1943, per trovare anche in Italia  “i giusti” che salvarono tante vite di predestinati allo sterminio, a compensare il comportamento di italiani delatori, carcerieri, strumenti consapevoli della politica dell’occupante nazista.
Il decreto  espulse novantanove cattedratici ebrei dalle università italiane e un numero mai calcolato di studenti dalle scuole di ogni ordine e grado. Fu proposto al Gran Consiglio del Fascismo dal gerarca considerato il “fascista critico”, il protettore delle eresie e del dissenso dentro il regime: quel Giuseppe Bottai  cui il sindaco di Roma Rutelli un anno fa voleva intitolare una piazza della capitale.
Pochissimi vollero capire che s' imboccava una strada senza ritorno.  Difatti, in quella tarda stagione del 1938 si susseguirono  altri decreti,  circolari,  interpretazioni che in maniera compiuta avrebbero fatto della comunità ebraica italiana, una comunità votata all’esodo, all’emarginazione, alla lenta scomparsa. Era la previsione di un giovane antifascista ebreo, Vittorio Foa, lucidamente espressa dalla galera in cui era rinchiuso   ormai  dal 1935. Ai genitori, pochi giorni dopo l’entrata in vigore del decreto, scriveva: “In questi giorni vado passando in rassegna mentalmente quali fra i miei conoscenti sono colpiti dai provvedimenti relativi alla scuola, ma l’esito non è consolante, fra studenti e professori non c’è famiglia che si salvi. A questo seguiranno certo a non lunga scadenza le libere professioni, gli impieghi pubblici e poi i privati. Non c’è da spremersi tanto il cervello, basta ricorrere agli augusti modelli dell’Europa prima della rivoluzione francese e del liberalismo del XIX secolo”.
Fra i pochi che tentarono di rompere il  muro dell’indifferenza, del non sentire e  vedere ci fu in quei giorni Ernesta Bittanti Battisti. Ella aveva avuto  nella creativa gioventù in Firenze amici ebrei carissimi come Ugo Guido e Rodolfo Mondolfo; aveva mantenuto rapporti intensi con la famiglia irredentista di tradizioni mazziniane del triestino Salomone Morpurgo. A Trento  nel primo decennio del secolo aveva condotto, col vigore che le era proprio, una vivace campagna per denunciare il falso storico del Beato Simonino  che si voleva vittima di un omicidio rituale degli ebrei che vivevano in città.  Scrisse dunque, intervenne, aiutò. Tentò di organizzare una protesta fra i professori, ma fu costretta ad ammettere: “Il mio tentativo non ha fatto alcun passo”.  La colpiva la mancata reazione del popolo  per una vergogna incancellabile della nazione, la consapevolezza delle nefaste conseguenze che l’antisemitismo aveva sempre provocato alla storia d’Europa. Un diario, tenuto dall’autunno del 1938 al maggio del 1943 che lei stessa titolò “ISRAEL - ANTISRAEL”, testimonia le sue iniziative, le sue riflessioni, i suoi sdegni.
La tragedia del razzismo in Italia era iniziata con i novantanove professori espulsi dall’università italiana e con le centinaia di ragazzi costretti a lasciare i banchi delle loro scuole. Gli ebrei italiani censiti nel 1938 erano 47.238. Terminò con 7495 di loro  internati nei Lager di sterminio. Solo in  610 fecero ritorno. Settantotto furono gli ebrei trucidati alle Fosse Ardeatine. Oltre duemila ebrei combatterono nella Resistenza italiana e sette furono le medaglie d’oro alla memoria.
Il senatore Giulio Andreotti, nei mesi appena trascorsi, ha cercato di attenuare le responsabilità  dei silenzi del mondo cattolico affiancando ad esse quelle  del mondo laico che, pur nelle maglie strette della dittatura, avrebbe ancora potuto parlare e di Benedetto Croce in particolare. Ne seguì una disputa aspra, ma complessivamente deprimente. Troppi assordanti silenzi ci sono stati in ogni parte della cultura e della società  italiana, per aver titolo di contrapporre i comportamenti degli uni a quelli degli altri.
Nel Trentino  dove i segni della convivenza sono stati anche recentemente lordati  non solo in termini metaforici, ricordare e riflettere aiuta a  tener desta la coscienza civile che appare tante volte assopita.
In Israele accanto al monumento all’Olocausto c’è il “Bosco dei Giusti” che ricorda, albero dopo albero, gli Europei che non tacquero,  ribellandosi  al silenzio e all’acquiescenza di fronte al crimine del razzismo.
E' di Giuseppe Tramarollo, allora presidente dell’Unione Democratica Amici di Israele, l’introduzione al lavoro del professor Radice sull’opera di Ernesta Bittanti a favore del popolo perseguitato. Sua la proposta,  lì espressa,  che il nome di Ernesta Bittanti trovi posto in quel luogo di viva memoria.
Potrebbe essere questo un segno eloquente, promosso dal comune di Trento, per ribadire un impegno e ricordare chi, non tacendo, ha dato voce  alla tradizione civile della nostra terra.


 

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