Quando, tanti anni fa, iniziai ad interessarmi alla ricerca di storie di
soldati e uomini della Seconda Guerra Mondiale, non avrei mai
immaginato di trovarmi una sera a raccontare di un soldato della
famiglia di mia moglie, che per questo motivo considero un mio stesso
parente.
Il
sodato in questione, fratello di mio suocero, viveva nei ricordi di
famiglia, era un prigioniero italiano deportato nei campi di
concentramento in Germania e poi morto non lasciando traccia.
Era
un nome, un vago ricordo, un dolore che riaffiorava ogni volta che si
stava tutti insieme e qualcuno mi chiedeva in casa su come procedeva la
mia passione, le cose che facevo sul Blog e nell’associazione.
Per mia suocera (Antonietta) erano i ricordi del fratello del marito, la gioventù; per mia moglie e le sorelle lo
zio mai conosciuto; ricordi e pensieri che man mano
salivano dal profondo materializzandosi negli occhi, che diventavano
lucidi, lasciando sulle rughe di quella che è la mia ultima mamma le
lacrime e lasciando il silenzio a tutti coloro che erano a tavola.
Pensavo ogni volta di aver sbagliato a parlare di storia ed accettare di rispondere a quelle domande, perché era come muovere il fondo del mare, l’acqua da limpida diventava torbida e la sabbia, mossa dalle onde, non lasciava vedere nulla.
Feci
delle ricerche, trovai qualcosa, lo scorso anno, un cimitero di
soldati Italiani in Germania, un piccolo cimitero dimenticato nel
nord della Germania… entrai in un pomeriggio piovoso a casa di
Antonietta e gli dissi che il fratello del marito era sepolto in un
bel cimitero, piccolo, molto curato; dove al centro di piccole
lapidi in marmo sventolava la bandiera Italiana.
Le mani si poggiarono sul cuore, si sedette per riprendere fiato e si rinchiuse in un pianto liberatorio, era lo Zio ritrovato.
Le mani si poggiarono sul cuore, si sedette per riprendere fiato e si rinchiuse in un pianto liberatorio, era lo Zio ritrovato.
Poi,
venerdì scorso (3 febbraio 2017) da Luigi, il mio dentista, si parla
di storia, di progetti, di manifestazioni culturali che faremo nel
2017, perché lui è un’altro che ha la storia dentro ed ecco che
va nello studiolo e ne esce con un libro in regalo per me:
Vallinfreda ed i suoi Martiri, di Eugenio Tiberi.
Guardai il libro, il dentista e dissi “lo zio di Natalia è di Vallinfreda!” e lui a seguire “vedi se parlano di lui!” e…
matricola
n. 44361 Zarelli Ulisse
Deceduto
il 20/3/1945 fronte Tedesco
E
di seguito la sua storia, dal giorno della nascita, fino all’età
adulta; contadino, buttero, dedicato completamente alla campagna ed
ai ritmi imposti dalla natura.
Il
30 gennaio del 1942 fu chiamato alle armi, “un giorno che nevicava”
come ricordano alcuni.
Uscì
di casa, salutò i suoi, la sua amata Vallinfreda, la campagna e si
diresse con il treno prima a Roma e poi a Zara dove prese servizio.
Il
foglio matricolare non è stato compilato per intero e salta al 9
settembre 1943, quando Ulisse fu catturato dai Tedeschi e messo su un
treno merci con direzione Germania; per loro era un traditore ma lui
non aveva fatto nulla per esserlo.
Il
viaggio fu tremendo; su treni merci, stipati come animali, tanto da decidere i turni per potersi sedere e per fare i bisogni, davanti a
tutti, nello stesso vagone e nello stesso contenitore, che poi esondò
lasciandoli nel fetore.
Arrivarono
a Nordenham, una cittadina alla foce del fiume Weser, erano davanti
al mare del nord.
Il
freddo li aveva storditi fin dalle prime notti nel carro merci, la
fame li aveva ridotti a brandelli, furono lasciati per ore sotto la
pioggia fino a che non ottennero il loro nuovo nome, era un numero
inciso su una piastrina da mettere al collo.
Per
i Tedeschi non erano soggetti alle convenzioni di Ginevra ma erano
IMI Internati Militari Italiani, su di loro avrebbero avuto la piena
libertà di potere, fatta di maltrattamenti, angherie, violenze e
torture, fisiche e morali.
Li avrebbero distrutti nei mesi successivi uno ad uno, con la fame ed il lavoro forzato, in un inverno freddissimo davanti al mare del nord.
Li avrebbero distrutti nei mesi successivi uno ad uno, con la fame ed il lavoro forzato, in un inverno freddissimo davanti al mare del nord.
Alla
fine, con il peso dimezzato e le continue percosse, per Ulisse Zarelli
l’idea della morte e di non poter più tornare a casa faceva sempre
più strada nei pensieri; ormai non si reggeva più in piedi e
non riusciva a sopportare i pesi del lavoro che gli venivano dati in
continuazione.
E
fu così che dopo un anno e mezzo dall’ingresso nel campo di
concentramento, un anno e mezzo di fame, percosse, maltrattamenti e
lavori forzati, Ulisse, abbandonato nel letto dell’infermeria senza cure e assistenza, chiuse gli occhi e morì. Era il 20 marzo
del 1945, aveva 23 anni.
Salutai
Luigi, uscii dallo studio e presi a camminare per le strade di Roma
in direzione della metro, il libro in mano ed una copia nello zaino,
per Antonietta.
Contento per lo zio ritrovato ma anche triste per aver conosciuto la sua fine e la fine di tanti soldati italiani, tanti contadini che lasciarono la campagna chiamati alle armi.
Contento per lo zio ritrovato ma anche triste per aver conosciuto la sua fine e la fine di tanti soldati italiani, tanti contadini che lasciarono la campagna chiamati alle armi.
La
copia fu consegnata il giorno dopo, ma questa parte non ve la
racconto, spero comprenderete.
Ulisse
Zarelli, un contadino, un soldato Italiano; cresciuto e vissuto sotto il fascismo,
indottrinato come tutti i ragazzi dell’epoca, chiamato alle armi
per servire la patria in quell’alleanza scellerata fatta con la
peggiore feccia umana che l’umanità ricorda; riunita sotto quel nazismo, che nello stesso momento stava chiamando dalla campagna
altri giovani di 20 anni, per servire la patria e dominare il mondo.
Alla
fine tutti questi contadini pagarono il prezzo il più alto.
Gli Italiani di Nordenham, riposano nel cimitero militare Italiano d'onore ad Amburgo.
Se volete ascoltare i suoni che mi hanno accompagnato in questa storia:
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