Nei giorni della Memoria lo ripropongo alla lettura.
....Quello che vi riporto stanotte è il miglior riassunto di quello che accadde nel campo di concentramento di Mauthausen. Perchè, vi domanderete, pubblico questo post oggi? E vi rispondo con molta semplicità che avevo voglia di condividere con voi, che ci seguite su questo Blog, lo stato d'animo di chi chiude un libro che parla di Mauthausen e della "scala della morte" o per alcuni del "muro dei paracadutisti"... e resta in silenzio a guardare le travi di legno del soffitto mentre bagna con le lacrime il cuscino.
Poi si alza, accende lo scaldino ed in piena notte inizia a cercare informazioni, foto, su quello che accadde in quel campo di concentramento.
« Fortezza... Contemporaneamente fortino e acropoli, muraglie gigantesche. Granito e cemento armato dominanti il Danubio: strani speroni coperti da cappelli cinesi; fili spinati e porcellana intreccianti un'insuperabile rete elettrica di protezione. Sì! La più formidabile cittadella costruita sulla Terra dal Medio Evo. Mauthausen. Mauthausen in Austria. Mauthausen dai 155.000 morti. » |
(Christian Bernadac 1977, p.18.) |
Per onorare e ricordare...
« Nell'ultimo tratto della strada tra l'ingresso del campo e i primi gradini della scala che scendeva nel baratro della cava, c'era una discesa assai ripida. Questa, in inverno, era spaventosa perché il terreno gelato assomigliava a una pista di pattinaggio e le suole di legno degli zoccoli, sul ghiaccio, sembravano lamine di pattini. Le numerose scivolate erano drammatiche poiché, nella confusione generale, alcuni perdevano l'equilibrio e cadevano verso sinistra, cioè verso il precipizio, e la voragine della cava li inghiottiva dopo una caduta verticale di cinquanta o sessanta metri; invece, quelli che partivano in scivolata verso destra, oltrepassavano la zona proibita e i tiratori scelti aprivano il fuoco su quei fuggiaschi. »
(Christian Bernadac, I 186 gradini, pag.10, op.cit.)
« [....] e c'era una scalinata con centottantasei gradini. Scavati nella pietra! Si andava su e giù per 'sta scalinata. In fila per cinque. Si arrivava giù, si prendeva una pietra ciascuno. Si aspettava che tutti fossero in fila, poi si tornava su, tutti in fila insieme, con le pietre. Bisognava stare attenti di prendersi una pietra che non fosse troppo piccola, perché se vedevano te ne davano poi una grossa. E quella non riuscivi neanche a sollevarla! Così ci lasciavi la pelle a suon di bastonate. Su e giù da ‘sta scalinata. Quando uno cadeva non si alzava più. Quella era la cava di pietre, centottantasei gradini. »
(René Mattalia - matricola 82423)
In totale si stima che il numero di prigionieri che transitò a Mauthausen e in tutti i suoi sotto-campi sia stato di oltre 200.000, molti dei quali furono impegnati nel lavoro alle cave di pietra, usate perlopiù come Kommando di punizione verso deportati indisciplinati o "irriducibili".
Un giorno, durante una sua visita alla cava, Himmler ordinò di caricare una pietra di 45 chili sulle spalle di un deportato e di farlo correre fino a che morisse. Osservò l'agonia del detenuto, quanto tempo ci mise a spirare e trovò che questo metodo si era mostrato "efficace", e così Himmler ordinò di costituire una compagnia di disciplina che utilizzasse questo metodo di eliminazione; dei detenuti che cadevano morti sfiniti si scriveva successivamente sui registri del campo: "uccisi durante un tentativo di fuga".
Nella cava di Mauthausen, la Wiener-Graben, si estraeva il "granito viennese" che poi veniva tagliato, sempre nella cava, in blocchi squadrati da costruzione. Il lager di Mauthausen fu edificato trasportando a mano centinaia di migliaia di queste pietre sulla lunga via che collegava la cava al campo, situato in cima a una collina adiacente; quella strada era chiamata Blutstrasse, la "Via di sangue".
Migliaia di detenuti caddero sfiniti e morirono durante la costruzione della fortezza, recinta su 3 lati da un muraglione largo 2 metri e alto, in alcuni punti, fino a 8 metri.
Il primo tratto di collegamento tra la cava e il lager era un'altissima scala in pietra di 186 gradini che, superando un dislivello di 50-55 metri si raccordava in cima alla cava con la lunga strada che portava al campo, nota come la "Scala della morte".
Raggiunta la strada vi era, sulla destra di chi saliva, un vertiginoso abisso formato da una parete verticale di roccia, senza alcun parapetto di protezione; era chiamato il "Muro dei paracadutisti" con sarcasmo macabro dagli aguzzini, dove i paracadutisti altri non erano che gli sventurati di turno che vi venivano precipitati e le pietre che avevano portato fin lassù, il loro ironico "paracadute".
Le SS vi gettavano sovente i detenuti che avevano portato su una pietra, secondo loro, giudicata troppo piccola; questo per le SS era considerato sabotaggio e il "lavativo" soprannominato paracadutista, punibile con la morte. Vi gettavano anche i deportati che vedevano nello stadio finale di logoramento fisico; alle SS bisognava sempre dimostrare di poter lavorare almeno per un giorno in più, se non si voleva finire subito al crematorio.
Una volta, racconta il Pappalettera nel suo libro "Tu passerai per il camino", un prigioniero morì bene; si abbracciò a una SS precipitandosi con lei nel baratro. Da allora le guardie controllarono la salita dei reclusi dall'altro lato.
I prigionieri, già esili e denutriti, dovevano trasportare grossi blocchi di pietra, pesanti fino a 50 chilogrammi con zaini di legno legati alle spalle, sopra i 186 scalini di questa Scala, ben sapendo che semmai fossero arrivati sopra, li attendeva l'incognita delle SS del Muro dei paracadutisti; si organizzavano grosse schiere di deportati caricati di tali massi che salivano in processione la scala in un equilibrio precario e assai critico, dove un passo falso voleva dire scatenare un tragico domino di sassi, sangue e morte.
Spesso la scala era usata come strumento di sterminio. Si avvertivano le guardie che serviva un certo numero di morti per il crematorio (la mortalità dei campi era tenuta sotto controllo costantemente dal potere centrale a seconda delle esigenze di spazio per nuovi arrivi) e allora le guardie spingevano giù i primi prigionieri che avevano raggiunto la sommità dalla scala; quelli cadevano all'indietro con le pietre trasportate colpendo le file di deportati che seguivano e quelli a loro volta le file successive e così via, in un massacro di birilli umani; la scala, raccontano testimoni, si tingeva di rosso del sangue delle vittime.
Eppure anche veri paracadutisti vi trovarono la morte. Vincenzo e Luigi Pappalettera nel loro quaderno "Mauthausen, Golgota dei deportati" scrivono:
"Il «Kugel Erlass» (decreto pallottola) prescrive che i paracadutisti alleati, i cosiddetti lavoratori liberi che disertano il lavoro e i militari che fuggono dai campi di concentramento devono essere mandati a Mauthausen per essere uccisi con un colpo alla nuca.
Il 5 settembre 1944 portano a Mauthausen 47 paracadutisti olandesi, inglesi e americani che avevano tentato la fuga. Ebbene, Ziereis non obbedisce a questo già feroce regolamento, che contravviene gli accordi di Ginevra: raduna i 47 prigionieri sull'Appelplatz, li fa radere e ne rade uno egli stesso provocandogli vaste ferite. Poi fa scrivere sul loro petto il numero di matricola, cerca ogni pretesto per picchiarli, li schernisce, dicendo che tra poco faranno di nuovo i paracadutisti. Le vittime non sanno ciò che Ziereis ha in mente. Il suo fido vice, il capitano Bachmayer, aizza il cane «Lord» contro un giovane dal portamento vigoroso che perde i sensi per un profondo morso all'avambraccio destro. Poi, Ziereis ordina alle SS e ai Kapo di portare i paracadutisti alla cava. Invita ufficiali e sottufficiali SS e le loro mogli ad assistere al macabro spettacolo. I paracadutisti a piedi nudi sono costretti a trasportare pesanti macigni su per la scala della morte, incitati a far presto con calci negli stinchi e bastonate. In cima ai 186 scalini devono scaricare le pietre e correre giù a prenderne altre. Sono uccisi tutti durante quel pomeriggio e il mattino successivo. Chi a fucilate dalle SS che si divertono a vedere rotolare giù l'uomo colpito e la sua pietra per constatare quante altre cadute provoca: un tragico gioco ai birilli umani; chi è gettato nel baratro dal «muro dei paracadutisti», chi cade stremato. Alcuni prigionieri affrettano la propria fine correndo verso le sentinelle per essere fucilati.
Uno di loro, per porre fine a quella disumana sofferenza grida:
«Sentinella, spara. Sono un ufficiale, mira diritto al cuore»".
fonte dati: wikipedia
Nessun commento:
Posta un commento