1945
Miei soldati!
Ai piedi di Monte Lungo vi sono
tre piccoli, lindi, solitari cimiteri di guerra semi nascosti tra i ciuffi di
sterpaglia della boschina e le roccie affioranti. Uno di essi racchiude le spoglie
dei bersaglieri del cunquantunesimo battaglione ed è situato proprio sull'orlo
dell'incisione del torrente Peccia, esattamente là dove essi caddero e il loro
sangue intrise la terra squallida; un latro accoglie le salme dei fanti del
sessantasette (vi sono anche dodici ufficiali) presso a poco sulla base di
partenza da cui l'otto dicembre il primo battaglione scattò per l'attacco; il
terzo riunisce le rimanenti salme del quinto battaglione controcarro,
dell'undicesimo reggimento d'artiglieria, del cinquantunesimo battaglione del
genio, della cinquantunesima sezione di sanità e del quartier generale, in
prossimità del ripiano su cui, a ridosso dei roccioni di Valle Lauro, si
drizzavano le bianche tende d'ospedale dove i feriti più gravi si spensero.
Laggiù, in questo secondo
anniversario e forse in quest'ora medesima, il nostro Cappellano capo Don
Brumana celebra oggi la Messa al campo, in suffragio di quei primi nostri
Caduti. Or è un anno noi pure fummo presenti al rito semplice e pio della
rimembranza, poiché i veterani del C.I.L., in corso di riordinamento e di
riarmo dopo la campagna del '44, erano attendati a poche diecine di chilometri
di distanza a Piedimonte d'Alife. Quest'anno eravamo troppo lontani. Allora al
posto nostro, al posto dei compagni d'arme, abbiamo fatto convenire laggiù, per
quanto ci è stato possibile, le famiglie dei Caduti e in particolar modo le
Madri. Non credo che ci sarà molta gente estranea ad assistere, come del resto
avvenne l'anno scorso, perché i villaggi sono lontani e la regione
immediatamente circostante è brulla, incoltivata, disabitata. sarà presente
soltanto l'emozione di quelle povere donne in gramaglie, pellegrinanti in dure
condizioni di disagio da centinaia e centinaia di chilometri di distanza
unicamente per piegar le ginocchia sulle zolle sotto le quali il loro figliolo
dorme per
sempre, per sfiorare con una
timida carezza il legno grezzo della sua croce, per deporvi, finalmente, un
bacio e un fiore, per mormorare con labbra tremanti una preghiera. E forse
incomberà su di Esse come in quel giorno un cielo triste, raffiche di vento
spingeranno cortine di nebbie biancastre nel fondo umido della valle e sulle
gobbe del monte, oppure nuvole basse e grevi stilleranno una gelida pioggia
sulla terra cruda, ischeletrita, inospite; così apparirà alle Dolenti
l'identico paesaggio e la stessa atmosfera che avvolse il loro caro nell'ora
della morte. O forse invece riderà il sole nell'effuso azzurro e ad Esse parrà
che il loro fanciullo ascenda in un volo d'angeli al trono di Dio; e tenderanno
le braccia alla visione in un vano, tenero e struggente anelito d'amore.
Ho detto che credo anzi spero che
non si pronuncieranno discorsi laggiù, i quali non potrebbero mai toccare toni
così alti come richiederebbe il sacrificio di quei morti e soprattutto il
sacrificio dei vivi, di quelle Mari superstiti. Anche a quelli tra voi che
furono presenti a Monte Lungo l'otto dicembre del quarantatre le parole della
rievocazione sono del pari superflue, perché quella giornata voi la rivivete nei
vostri cuori. Io parlo per i miei vecchi compagni del C.I.L., per coloro che
sopraggiunsero con me dopo il quindici gennaio del quarantaquattro, perché
riflettano che senza l'eroismo dei pochi di Monte Lungo il C.I.L. non sarebbe
stato. Parlo per i miei vecchi soldati della "Legnano" perché
considerino che senza le migliaia di combattenti del C.I.L., prima poche e poi
molte, le decine di migliaia dei gruppi di combattimento non sarebbero state.
Parlo infine per i miei soldati più recenti, per quelli che giunsero tra noi
dopo l'otto di maggio, perché riflettano, considerino e ricordino che senza le
prove dei gruppi di combattimento forse ancora oggi sarebbe all'Italia
contestato il diritto morale, e quindi la speranza, di un proprio esercito
rinnovato.
Il primo raggruppamento
motorizzato contava appena tremila uomini di fanteria; due battaglioni del
sessantasette, un battaglione di bersaglieri allievi ufficiali di complemento e
un piccolo battaglione controcarro. Gli artiglieri erano poco più di un
migliaio: altrettanti ne contavano il genio e i servizi. Nel complesso la forza
totale superava di poco i cinquemila uomini.
Questo contingente costituiva il
nostro massimo sforzo militare che gli Alleati erano disposti ad autorizzare in
quel momento. Tale limitazione aveva per noi un grave ed amaro valore politico
poiché, secondo il noto telegramma di Quebec, le dure condizioni di armistizio
avrebbero potuto essere attenuate soltanto in proporzione all'apporto che il
governo italiano e il popolo italiano avrebbero saputo dare alle nazioni Unite
nel corso della guerra contro la Germania. ma la limitazione aveva anche e
soprattutto una sua ragion d'essere sentimentale; era fin troppo umano e
naturale in quel momento che gli Alleati nutrissero ancora diffidenza e rancore
contro di noi. E toccava proprio al soldato italiano di rimontare quel
gravissimo "handicap" iniziale con le buone qualità che avrebbe
saputo affermare in un primo effettivo cameratismo d'armi.
Un'ardua difficoltà fu quella di
racimolare i materiali di armamento e soprattutto di equipaggiamento
indispensabili per una rappresentanza, pur così esigua. Nel territorio appena
liberato, dove industrie belliche non esistevano o erano del tutto
inefficienti, tutte le scarse residue riserve dei nostri magazzini militari
erano rigorosamente bloccate dagli Alleati; non potevamo toccare nulla. Erano i
mesi nei quali, mentre noi ne avevamo tanto bisogno, nostre artiglierie,
quadrupedi, automezzi passavano ai Francesi della Corsica, nostre scarpe,
uniformi, oggetti di corredo venivano cedute agli Iugoslavi. Bisognava mettere
a contributo ancora una volta la tradizionale modestia di bisogni del soldato
italiano.
Quando il raggruppamento a noi
parve approntato e gli spiriti erano impazienti di misurarsi col nemico, di
ardere magari in una sola fiammata per di dare inizio al nostro riscatto
morale, le autorità militari americane si mostrarono preoccupate della reale
efficienza di questa unità e prima di impiegarla vollero vederci chiaro con una
serie minuziosa di indagini e di controlli. Questi scrupoli erano anche troppo
giustificati, ma come mortificante per la nostra passione e per la nostra
miseria quel mettere a nudo una inferiorità materiale che, ben lungi
dall'attirarci in quel momento il conforto di una comprensione cordiale e di un
aiuto pronto e concreto, non faceva che rafforzare lo scetticismo sul nostro
conto e minacciava di pesare su di noi come una condanna all'iniziazione
definitiva! E intanto le settimane passavano e l'entusiasmo affievoliva,
logorato dal dubbio interiore se si sarebbe o no combattuto, corroso dal veleno
di un disfacimento morale che sembrava diffondersi senza rimedio nelle
popolazioni del sud.
Finalmente prevalse il criterio
di far credito alle nostre insistenze e l'impiego del raggruppamento venne
deciso; ma le condizioni stesse nelle quali venne realizzato, isolandolo nello
spazio e nel tempo, mettevano candidamente in risalto il suo carattere di
esperimento. In sostanza si disse agli Italiani: andrete in linea, vi daremo un
obbiettivo, vi vedremo alla prova. Questa prova è stata Monte Lungo.
Monte Lungo è una dorsale
isolata, a tre gobbe, orientata nel senso dei meridiani; ha il vago aspetto
generale di un enorme cetaceo in emersione. Uscendo in faccia ad esso dal
profondo della stretta di Mignano, la via Casilina e la ferrovia l'abbracciano
dai due lati. E' una spina che s'investe colla punta nella stretta, come il
tappo nel collo di una bottiglia. Bisognava sloggiare di là i panzergrenadire,
dopo di che sembrava non ci fossero più ostacoli per dilagare nella pianura e
investire lo sbarramento di Cassino.
Fu detto agli Italiani che le
posizioni già conquistate serravano Monte Lungo in una morsa: in altre parole,
che il collo della bottiglia era già tutto nelle mani degli Alleati. Questo non
era esatto; come poi si vide e costò piuttosto caro. D'altronde gli Italiani
non ebbero il tempo né l'opportunità di assicurarsene perché, a garanzia che i
tedeschi non si accorgessero del cambio, furono portati in linea all'ultimo
momento. Nell'alba incerta dell'otto dicembre una formidabile preparazione
dell'artiglieria americana percosse le posizioni nemiche; dopo, improvviso,
sopravvenne il silenzio. Ed ora, Italiani, a voi!
Quaranta pezzi dell'undicesimo
artiglieria apersero contemporaneamente e a celere scadenza il loro tiro
d'appoggio. Il primo battaglione del sessantasette ed una compagnia bersaglieri
si avventarono all'attacco con impeto garibaldino; gli uni direttamente per la
cresta, gli altri, avvolgendo da ovest, lungo la ferrovia per la valle del Peccia.
Fu come gente che chiudesse gli occhi e si gettasse risolutamente nel rogo a
purificarsi col sacrificio proprio della Patria umiliata; molti con ingenuità
eroica sventolavano il tricolore. Dagli osservatori circostanti i soldati
americani ne seguivano con febbrile interesse i progressi ammirando quel
romantico ardore; i fanti giunsero sull'obbiettivo. Proprio allora, per
disdetta, certe cortine di nebbia che avevano fiancheggiato e mascherato
l'attacco si diradarono all'improvviso; e da tre lati: da nord, da est e da
ovest, dalla profondità della posizione e dai fianchi che si ritenevano sicuri
proruppe inattesa e violentissima la reazione. Su in cresta le sagome degli
assaltatori si stagliavano scure contro il cielo; sui due versanti si
proiettavano contro lo scoperto pendio; sotto il fuoco concentrico non c'era
possibilità di riparo. Gli attaccanti dovettero arrestarsi; poi tennero duro
con eroica ostinazione; ma alla fine, sotto minaccia di distruzione totale, i
superstiti furono costretti a ripiegare.
Dopo pochi giorni l'attacco venne
ripetuto ma, questa volta, nel quadro di una azione generale. Com'era logico
riuscì; il tricolore sventolò sulla vetta più alta e più in là; ed ebbero pace
i nostri morti.
Questo, senza l'enfasi della
retorica, è stato il combattimento di Monte Lungo. Non è un modello d'arte
militare e nemmeno si potrebbe sostenere che abbia avuto un peso di qualche
rilievo sul complesso delle operazioni. Impegnò direttamente poco più di mille
uomini e di essi quasi la metà non tornarono: per noi che vedemmo ben altre
ecatombi il suo significato materiale non trascende il valore di un episodio.
Tuttavia, per il suo valore ideale io sono convinto che il combattimento di
Monte Lungo appartenga non alla cronaca ma alla storia d'Italia e che perciò
non sarà più dimenticato. Poiché esso permise che si diffondesse nel mondo la
notizia che per la prima volta nella seconda guerra mondiale i soldati italiani
si battessero a fianco dei soldati alleati, si battessero con impeto e con
saldezza; i primi che fossero tornati in piedi, vincendo l'amarezza e lo
sconforto, offrendo lo strazio delle proprie carni all'espiazione di errori
funesti di cui non si sentivano colpevoli; con una esaltazione romantica di cui
soltanto chi ha letto brani di diari prima della battaglia e testamenti
spirituali di alcuni di quei Caduti può rendersi conto con emozione sincera.
Molti di questi giovani non avevano maturato lentamente nuove convinzioni
politiche, erano stati davvero sorpresi e disorientati dalla crisi tragica del
loro Paese; ma senza indugiare ad indagarne le cause non ne constatavano che
gli effetti e cioè un'Italia divisa, straziata, umiliata, una realtà
fisicamente insopportabile contro la quale bisognava insorgere subito, in
qualunque modo e a qualunque prezzo. Perché questa Italia potesse risorgere,
rigenerasi e rinnovarsi, non per loro ma per quelli che sarebbero
sopravvissuti, sdegnando perfino di riflettere a quali mete avrebbe poi dovuto
indirizzarsi, questi giovani, nell'impulso generoso di un cuore di vent'anni,
nell'istinto elementare di una nazionalità plurimillenaria, compresero una cosa
sola: che bisognava battersi e morire. Che battersi e morire non fosse una cosa
inutile per uno scopo assai più importante che non la quota trecentoquarantatre
di Monte Lungo, presa, perduta e poi riconquistata, ce lo dice il messaggio del
Generale Clark, comandante della 5° armata americana, con queste parole:
"Questa azione dimostra la determinazione dei soldati Italiani di liberare
il loro Paese dalla dominazione Tedesca, determinazione che può ben servire
d'esempio a tutti i Popoli oppressi d'Europa". Il combattimento può non
avere avuto un'importanza militare; ma questo commento aveva invece una chiara
e confortante significazione politica.
Miei soldati!
Io ho ritenuto che premiare
pubblicamente coloro di voi che si sono distinti durante la campagna di
liberazione questo anniversario fosse il più indicato; perché mi ha permesso di
rendere omaggio a coloro che noi consideriamo i nostri pionieri spirituali e
perché mi permette di affermare ancora una volta che la tradizione di questa
nostra "Legnano" si riallaccia, attraverso il C.I.L., al primo
raggruppamento motorizzato. "Legnano", primogenita dell'esercito
rinnovato! Io vi do atto che davanti a Bologna siete stati fieramente degni di
questa primogenitura.
Siatelo ancora oggi nel servizio
di pace, siatelo soprattutto domani nella vita civile alla quale ritornerete.
Siatelo nella consapevolezza che avete acquistato che nulla si realizza senza
sacrificio; che nulla si realizza senza lealtà, senza sincerità; senza
generosità; che nulla si realizza se non si ha il coraggio di bruciare come
scorie ogni egoismo, ogni vanità personale, ogni gelosia meschina.
Io ringrazio per vi il Generale
Heydemann, nostro comandante militare, che ci ha fatto l'onore di essere
presente tra noi in nome della fratellanza d'armi che saldamente e lealmente ci
lega ai valorosi eserciti delle Nazioni Unite.
Io ringrazio per voi le autorità
della provincia e della città ed i cittadini di Bergamo i quali assistono con
attento e reverente consenso a questa sagra del valore; mettendo bene in
evidenza che si tratta di buoni giudici in materia di valore, dura ferrea gente
bergamasca che nell'epoca del Risorgimento nazionale, come nella prima grande
guerra, come nella lotta clandestina per la liberazione ha costantemente
affermato la singolare solidità della sua tempra.
Ringrazio infine e rivolgo un
caldo saluto alle formazioni partigiane della terra bergamasca ed al loro
valoroso comandante colonnello Buttaro, di cui il quattro novembre scorso
ascoltammo con fiera emozione la nuda, scolpita parola rievocatrice. Ci sia
lecito di rendere oggi pubblicamente omaggio di ammirazione, di riconoscenza,
di fraterno amore ai loro valorosi Caduti che, al di qua della linea dei Goti
come i nostri compagni al di là, eroicamente donarono il sangue e la vita per
una causa comune.
Sulla base della sicura
conoscenza che io ho dei moventi spirituali della mia gente, sulla base ancor
più eloquente e concreta delle cifre (tremila dei miei uomini tra morti,
mutilati e feriti che ho lasciato lungo la strada da Cassino a Ponti sul
Mincio) io sono convinto che, partigiani e soldati, siano stati degni gli uni
degli altri; nella severità del sacrificio come nella purezza degli intenti.
La quale purezza si riassume,
praticamente, in un concetto: servire in umiltà e in abnegazione la Patria così
in pace come in guerra.
Tratto da:
di Giuseppe Gerosa Brichetto
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