venerdì 28 febbraio 2014

"In cerca di una Patria" di Alfio Caruso

Ci sono delle volte nelle quali non vorresti mai arrivare all’ultima pagina del libro di storia che stai leggendo, capita quando il libro è bello, quando la storia ti coinvolge o quando sei intimamente legato ai fatti raccontati.

Sono quei libri che alla fine della lettura ne chiudi con calma l’ultima di copertina, la guardi fissa per qualche minuto, poi ne stringi il dorso rilegato nel palmo di una mano e con l’altra fai scorrere velocemente le pagine, sentendo il profumo della carta e della stampa e ti sale subito la voglia di tornare a rileggerli.

Non puoi lasciarli, non puoi staccarti da loro, perché dentro quel piccolo spazio senti che c’è racchiuso un mondo che non conoscevi e ti ha fatto conoscere.

Sono libri che non vengono riposti subito nella libreria, restano intorno a noi per molto tempo, a volte sul comodino a volte sul tavolo della scrivania; non riusciamo ad allontanarci dalla loro presenza per tutto quello che hanno rappresentato per i giorni della lettura.

E così torniamo di tanto in tanto a rileggerne un passaggio, un capitolo; ne sottolineiamo alcune parti con la matita leggera, perché abbiamo paura di rovinarli, ne fissiamo alcune pagine con dei post-it colorati e segniamo nella parte esterna del foglietto una traccia in modo da ritornare subito a quel punto d’interesse.

Sono quei libri che si riempiono subito di foglietti colorati, sono nomi di città, di paesi sconosciuti, frazioni, nomi di uomini, nomi di battaglie, che oggi sentiamo più vicini, grazie all’autore del libro, che con il suo racconto non solo ci riporta indietro, fino a quei giorni, ma ha la capacità di farci scendere fino al livello del terreno, di essere lì, attraverso i racconti più dettagliati, gli attimi vissuti e raccontati nel loro preciso evolversi.

In cerca di una Patria”, di Alfio Caruso, ristampato qualche anno fa e ancora disponibile nelle librerie, è uno di questi libri.

La patria, raccontata dall’autore, è l’Italia dall’8 Settembre del 1943 alla liberazione; un’Italia che si era smarrita, che aveva perso tutto ed era divenuta, il terreno di scontro principale della Seconda Guerra Mondiale in Europa.

Un’Italia nella quale alcune migliaia di soldati Italiani decisero che non era possibile rimanere inermi ad assistere alla distruzione della nazione e fecero una scelta; rinnegare quell’alleato che ci aveva occupato ed iniziare a combattere al fianco di quell’esercito che stava arruolando soldati in tutto il mondo per liberare il vecchio continente dal Nazismo e dal Fascismo.
 
Alfio Caruso riesce a raccontare quei giorni con particolari vivi.
La diffidenza del nuovo alleato, unita alla grande voglia di “esserci” dei soldati Italiani; la sensazione iniziale di essere trattati come camerieri; la mancanza di tutto; a partire dalla divisa, fino ad arrivare al cibo.

Scorrendo nella lettura, la storia di quegli anni riporta alla luce pagine bellissime di un’Italia purtroppo dimenticata, un’Italia fatta di uomini che si sentivano uniti dal tricolore senza distinzione di credo politico, di fede, di regione.

Uomini che hanno dato la loro vita, in condizioni spesso al limite della sopportazione umana, ma che in ogni lettera a casa cercavano di trasferire la loro gioia nel vedere sempre più regioni, della loro amata Italia, liberate.

Le battaglie scorrono una dopo l’altra, sono nomi a volte sconosciuti, piccole colline, piccoli centri urbani, aspre montagne; Monte Lungo, Monte Marrone, Mainarde, Filottrano, Tolentino, Castel San Pietro, Cingoli, Musone, Colle Cardinali, Case Nuove, Rustico, Jesi, Santa Maria Nuova, Monte Granale, Esino, San Vicino, Apiro, Cupramontana, Montecarotto, Serra dei Conti, Monte Mauro.

In ognuno di questi luoghi, probabilmente oggi ci sarà una lapide in memoria, un piccolo recinto formato da 4 granate arrugginite piantate nel terreno, una catena di ferro che le unisce ed una corona ormai ingiallita e secca, forse deposta in occasione delle poche feste nelle quali ci ricordiamo di quello che i nostri nonni o padri hanno fatto; ma sono luoghi in cui gli Italiani hanno stupito gli Inglesi gli Americani ed i Polacchi per il loro coraggio la loro tenacia.

Sono luoghi che dovremmo conoscere, perché spesso denigriamo tutto ciò che è Italico, specie della seconda guerra mondiale; ma gli uomini ed il loro valore non sono stati inferiori a nessuno degli eserciti contrapposti ed in considerazione dell’armamento e della situazione che si venne a creare nei loro alti comandi sono da considerare eroici, come sono stati considerati in molti teatri di guerra.

Un libro che si mostra come una finestra che si apre e si chiude su pagine di storia ingiallite dal tempo, sui racconti dei reduci e sulle migliaia di foto che riprendono i nostri eroi nel loro essere soldati, uniti dal desiderio di vedere sventolare libero al vento il nostro tricolore.


Un libro da ricordare, come stiamo facendo noi.

blogger.


Speriamo un giorno di poter ospitare l'Autore, Alfio Caruso, in uno degli incontri del LI° Btg Bersaglieri "Montelungo 1943".




  

lunedì 24 febbraio 2014

Avro Lancaster, quel giorno a East Kirkby nel Lincolnshire

Ero a Londra, in un ristorante, durante una cena, quando mi disse che non potevo non andare a East Kirkby nel nel Lincolnshire se ero appassionato di aerei e di storia.
Ci guardammo tra di noi e chiedemmo maggiori informazioni, ma il nostro ospite, appassionato di Ferrari, belle donne e aerei, fece una grande risata e nel suo inglese perfetto ci disse di andare di mattina presto, quando non c'è nessuno e fece sparire il suo grande viso dietro una birra rossa; poi portò di nuovo la birra sul tavolo, spense il suo sorriso e con gli occhi lucidi ci disse: "you have to go!" (dovete andare), poggiando la sua mano sul cuore... decidemmo di partire prima dell'alba.
131 miglia e quasi 3 ore di viaggio ci dividevano da quel luogo per il quale il nostro amico aveva interrotto la bevuta di una birra rossa e ci aveva pagato la cena a base di anatra; erano entrambi due eventi speciali.

Partimmo che era ancora notte, qualcuno dormiva nei sedili posteriori,  l'unica compagnia per le strade gelate erano le luci del navigatore ed io che non smetto mai di parlare, raccontare e sognare.

Eravamo nel Regno Unito, di notte e viaggiavamo su terreni che avevano visto gli aviatori della RAF decollare da aeroporti improvvisati e difendere la propria nazione dalla Lufwaffe; l'aviazione di Hitler, che voleva ridurre in cenere l'Inghilterra prima di attaccarla da terra.

Duelli aerei di Spitfire, Hurricane, Messerschmitt 109, ma anche bombardieri Heinkel e Dornier che riversavano su Londra tonnellate di bombe.

Giunta l'alba, il panorama intorno a noi divenne tutto verde; vallate, colline, pianure, erano di un verde intenso, mai visto, era un verde che si  perdeva fin dove la nostra vista riusciva a vedere; le strade, a volte bianche, erano ricami sui prati, messe in evidenza da file di alberi e recinzioni perfette nel loro bianco candido; eravamo nel Lincolnshire...

A East Kirkby trovammo un cartello che ci fece capire subito quale regalo ci aveva fatto il nostro amico la sera prima, c'èra scritto: Linconlnshire Aviation Heritage Centre, l'emozione saliva..

Davanti al cancello d'ingresso scoprimmo, ma non avevamo dubbi, di essere i primi... quando il cancello si aprì una signora di mezza età, con tutti i capelli bianchi, golfino rosso, gonna bianca e scarpe bianche ci salutò alla maniera inglese e ci diede il benvenuto; entrammo.

In fondo al viale, sulla destra, notammo subito la pista di volo, era in erba, ed un trattore continuava ad andare avanti e indietro a tagliarla, era un tappeto morbido sul quale mettemmo subito i piedi da perfetti italiani, non curanti di qualche eventuale divieto.

Giungemmo alla biglietteria e ritrovammo la signora dai capelli bianchi, la quale, oltre a suggerirci di prendere un caffè caldo e qualche biscotto, ci diede indicazioni su quello che potevamo vedere e capimmo che da qualche parte intorno a noi c'èra un Avro Lancaster, perfettamente funzionante e visitabile.

Chiesi se si poteva visitare subito e mi indicò l'hangar dove si trovava,  dicendomi che non era stato ancora aperto per le visite della mattina ma che potevo aprire comunque io la porta... corsi fuori.

Il Lancaster era la mia infanzia di modellista, erano le notti passate sul manuale delle istruzioni, a montarlo, a dipingere interni e piloti e poi giorno dopo giorno a completarlo e vederlo ultimato sul tavolo, nella sua linea inconfondibile e dai colori  nero sul fondo e mimetica marrone e avana nella parte superiore.

Il Lancaster era la mia gioventù passata a leggere Super Eroica, la conoscenza della sua storia che ne comprendeva l'utilizzo bellico, il carico di morte nel suo interno e le storie dei suoi piloti che si immolarono per un'Europa libera da ogni dittatura.

Il Lancaster era un simbolo per gli Inglesi; della loro forza, della loro tenacia, era la risposta alle violenze subite a Londra e fu un seminatore di morte e sofferenza per le popolazioni Tedesche.

Le Donne, i vecchi ed i bambini subiscono sulla loro pelle le follie degli uomini adulti; da qualsiasi parte volgiamo lo sguardo tra i due belligeranti è sempre la popolazione inerme a pagarne il prezzo più alto.

Ma il Lancaster doveva distruggere fabbriche, ferrovie, ponti, dighe, porti, raffinerie, senza curarsi di ciò che c'èra intorno, il suo unico scopo era di ridurre la capacità offensiva del nemico.

Arrivai alla porta dell'Hangar e tirai forte, le luci erano accese e Lui era lì ad aspettarmi...







































Fu un viaggio bellissimo, un tuffo nella storia; 
intorno a me, non solo il Lancaster, ma anche un AC 47 Dakota del D-Day , motori Rolls Royce Merlin ed i rottami di Spitfire, Messerschmitt Bf 109, caduti sul suolo inglese durante la Battaglia d'Inghilterra, tutti raccolti e catalogati con il nome del pilota e le sue missioni.
Mezzi, divise, ed alcune bombe che fecero la storia delle missioni dei Lancaster riportavano il visitatore alla dura realtà della guerra.
Uscendo, nel silenzio di quelle campagne e nel primo calore del sole ormai sorto, si manifestava ai nostri occhi l'aeroporto così come era in quei giorni del conflitto, tutto era stato restaurato e conservato, perfino la bici del pilota, poggiata sul muro della torre di controllo, sotto la sirena che dava l'allarme.
All'interno della torre, sulla lavagna dell'epoca, i due squadroni, 57° e 630° con i nomi dei piloti che partivano per le missioni.
Passeggiavamo per quel prato, tra quegli hangar e sentivamo intorno a noi la storia, respiravamo la storia e bastava chiudere gli occhi per far riapparire immagini, foto, film, documentari; tutto quanto ci aveva accompagnato nella nostra passione e nella nostra voglia di conoscere.
Lo sguardo partiva da quella sirena verde oliva posta in un angolo della torre di controllo e la pista verde, quel tratto di terra che aveva visto i piloti raggiungere i loro Lancaster nella notte, salire, mettere in moto i loro quattro Rolls Royce Merlin, rullare e poi decollare fino a sparire nel buio della notte e lasciare l'aeroporto di nuovo nel suo silenzio in attesa del rientro, quando dal binocolo si contavano tutti i Lancaster per vedere chi non era tornato da quella missione e segnarlo sulla grande lavagna nera.

Il viaggio di ritorno fu più silenzioso dell'andata, ognuno di noi teneva i ricordi per se e li rivisitava nella mente guardando fuori dal finestrino o nei monitor delle digitali. La sera tornammo a quel ristorante, il nostro amico inglese non c'èra, alzammo le birre al cielo e gridammo "we were there!" (ci siamo stati! ) mentre in ognuno di noi brillava l'aquila della Royal Air Force, acquistata allo shop e sul tavolo giacevano decine di cartoline della storia dell' Avro Lancaster.

racconto di una delle giornate passate a Londra per musei..
The blogger










Le immagini seguenti sono state prese dal portale del museo, pur non avendo autorizzazione crediamo di rendere onore allo splendido lavoro fatto dai proprietari nella loro missione di Onorare e Ricordare.





















http://www.lincsaviation.co.uk/