Il 31 Marzo gli Alpini del battaglione Piemonte conquistarono Monte Marrone, riportiamo alcuni brani del libro di Sergio Pivetta "Tutto per l'Italia", Diario di un alpino del Battaglione "Piemonte".
Le prime tre foto sono dedicate a Giaime Pintor, di cui riportiamo brevemente la storia.
Nato in una famiglia della piccola nobiltà sarda, da
Adelaide Dore e Giuseppe, nipote di Fortunato, l'erudito bibliotecario del
Senato, e fratello di Luigi, giornalista fondatore de il manifesto, si laurea
in giurisprudenza appassionandosi però al dibattito letterario. Fedele
all'illuminismo perché convinto della progressiva e razionale affermazione
culturale dell'uomo, pubblica fin dal 1938 su riviste quali "Oggi",
"La Ruota", "Aretusa", "Letteratura", "Campo
di Marte", "Primato", a volte anche usando gli pseudonimi di
Mercurio e di Ugo Stille (nomignolo, questo, condiviso con l'amico Misha
Kamenetzky, che in seguito l'avrebbe fatto proprio). Fu con Leone Ginzburg,
Cesare Pavese e Massimo Mila tra i primi e più efficaci collaboratori della
casa editrice Einaudi.
Estimatore della letteratura tedesca, studiò Wolfgang Goethe
e Friedrich Nietzsche (distanziandosi però da quest'ultimo per ciò che concerne
la teoria del superuomo) e tradusse le opere di Rainer Maria Rilke, Heinrich
von Kleist e Hugo von Hofmannsthal. In collaborazione con il germanista
Lionello Vincenti curò, per il progetto "Pantheon" dell'editore
Bompiani, la grande antologia Teatro tedesco, che conteneva anche alcune sue
traduzioni e una serie di brevi saggi critici. Inoltre curò nel 1942
un'edizione del Saggio sulla rivoluzione di Carlo Pisacane, in cui egli vide
una matrice socialista.
Nel gennaio del 1943 fu membro della missione militare
italiana presso il governo di Vichy partecipando quindi alla difesa di Roma dai
tedeschi. Dopo l'8 settembre si recò a Brindisi per arruolarsi per breve tempo
nel nuovo esercito regio, poi a Napoli per unirsi a un gruppo di volontari
organizzati dal generale Pavone. Infine si arruolò nell'esercito britannico che
gli affidò il comando di un piccolo gruppo di soldati che avrebbe dovuto
raggiungere i partigiani operanti nel Lazio. Sentitosi braccato dai nazisti,
scrisse una lettera al fratello Luigi nella quale affermò l'importanza di
aderire alla Resistenza.
Il 1º dicembre del 1943 cercò di attraversare le linee
nemiche e raggiungere Roma per combattere il nazifascismo, accompagnato
dall'agente del S.O.E. Max Salvadori, conosciuto con il nome di battaglia di
"captain Sylvester", in un punto considerato sicuro per
l'attraversamento dell'assedio nazista. Morì a soli 24 anni dilaniato da una
mina che l'esercito tedesco aveva lasciato nella zona lungo il Volturno.
La desecretazione di alcuni documenti, ha permesso di
scoprire che Pintor era stato reclutato dai servizi segreti inglesi a Napoli il
15 novembre 1943 con lo pseudonimo Stille. Risulta che non fu pagato e che la
ragione del suo arruolamento era il patriottismo. Dallo stesso fascicolo risulta
che nel giugno 1944 i servizi segreti fecero pervenire alla famiglia di Pintor
200.000 lire a titolo di risarcimento, il certificato di patriota e una lettera
di condoglianze.
Da una cantina della famiglia Pintor sono riemersi, solo
recentemente, vari scritti che fanno parte dell'officina artistica del giovane
intellettuale: un dramma filosofico teatrale in due atti intitolato Tempo
perduto, composto dai 'Dialoghi sulla vita di un uomo', probabilmente scritto
nel 1941, dove è la morte a dominare sulla scena, non come prodotto
dell'azione, sostituita qui da un dialogo in un salotto, ma come evento in
tragica connessione con la vita, e una riduzione cinematografica de La figlia
del capitano di Puskin, la quale non piacque al regista Mario Camerini. Mentre
da una cassa, a lungo conservata dal nipote Giaime junior, è emersa la
traduzione inedita de La dittatura di Carl Schmitt, della quale si aveva
notizia, ma finora irreperibile. Testimonianza della poliedricità del lavoro di
Pintor, pensato per la nuova collana di Diritto e Politica, progettata assieme
a Cesare Pavese.
fonte dati: Wikipedia
Monte Marrone - lapide in memoria di Gaime Pintor
l'area del campo minato dove cadde Pintor
Monte Marrone
L'area antistante Monte Marrone, luogo di aspri combattimenti della 34a Div. Red Bull e 45a Thunderbird
Monumento al Corpo Italiano di Liberazione davanti a Monte Marrone
E tocca a noi. Scavalchiamo la linea del 68° e ci portiamo
sotto le falde del monte accampandoci nel bosco. Ci risveglieremo, l’indomani,
coperti da un mantello di neve. E poi, la mattina seguente, il 31, l’attacco.
Sono passati ormai quasi settant’anni, ma lo ricordo come fosse ieri. Arrivammo
in vetta di sorpresa, senza colpo ferire.
La 1a Compagnia, con gli alpieri, per la via più diretta,
arrampicando in verticale.
La 2a a sinistra, spesso allo scoperto, sui nevai. La 3a sulla
destra, nel costone boscoso.
Ci organizzammo subito a difesa.
Davanti alla 2a un pianoro scoperto, innevato, in sensibile
discesa, una posizione eccellente, difficile da attaccare. Davanti alla 1a e
alla 3a un fitto bosco, l’ideale per consentire al nemico di farsi sotto fino a
pochi metri dai nostri reticolati. Come infatti sarebbe poi accaduto.
Più lontano, un secondo bianco pianoro che risaliva
dolcemente verso Monte Mare e Colle Altare.
I tedeschi, lo avremmo scoperto solo due mesi più tardi,
quando toccò a noi d’attaccare, disponevano, dietro al massiccio roccioso del
Mare, di rifugi in caverna assolutamente sicuri, profondi e attrezzati. Noi
della 2a sistemammo le canadesi come meglio si poteva, sulla neve. Quelli della
1a anche peggio, da loro la pendenza in qualche punto superava il 50 per cento.
La notte faceva freddino. Si toccavano, spesso, i 10-15
sottozero.
Io mi ero arrangiato, con un alpino della mia squadra, su
una specie di cengia, sopra un candido letto di neve. E, per materasso, pochi
arbusti. Quando, per riposare, tra un turno e l’altro di sentinella (quattro
ore di guardia, otto di riposo) si toglievano, dentro la tenda, gli scarponi,
li ritrovavamo tanto ghiacciati che per riscaldarli e non far gelare le dita
bisognava pestare i piedi, dopo averli calzati, per almeno tre o quattro ore.
Due alpini della mia squadra ci sfottevano perché avevano scoperto, a loro
dire, un angolino ben riparato dal vento e al sicuro dalle cannonate, tra due
pareti rocciose. Ma qualche vecchia guida alpina li aveva avvertiti di stare in
guardia, anche se la neve sembrava solida. E difatti, dopo due o tre giorni, si
mise a scricchiolare. Fuga precipitosa, appena il tempo di strappar via la
tendina e il ponte di neve sul quale i due furbi erano andati a piazzarsi
cedette. I primi giorni trascorsero tranquilli. Ci scaldavamo, con le pastiglie
di menta (non si potevano accendere fuochi), qualche gavetta di neve, dadi per
brodo, corned beef e biscotti, il “paston del can “. Ma era egualmente
squisito.
Sergio Pivetta "Tutto per l'Italia", Diario di un alpino del Battaglione "Piemonte".
Foto dell'epoca: