Lavorando in questi giorni alla
storia del Gruppo di Combattimento Legnano scopro ogni giorno pagine di
racconti eroici vissuti dai nostri soldati per un ideale di libertà e mi
dispiace di essere arrivato tardi alla conoscenza di questo e forse proprio per
questo rammarico ne racconto e grido a tutti le gesta per fare in modo che non
vada persa questa memoria e contemporaneamente non finirò mai di ringraziare le
persone che le hanno raccontate negli anni attraverso il web o su libri di
storia, a loro va tutta la mia stima e la mia riconoscenza.
Proprio ieri scoprivo un Blog con
documenti incredibili, storie mai lette prima, foto, racconti, un tesoro
inestimabile, condiviso da pochi lettori e che invece ne meriterebbe molti di
più.
La storia che vi riporto oggi mi
è capitata per caso, o forse no,
scriverò che mi ha trovato lei non appena mi sono avvicinato a quelle
giornate di guerra del 30 Aprile del 1945 a quello che fu definito l’ultimo scontro
tra italiani e tedeschi anche se la guerra in Italia di fatto era finita.
La colonna di mezzi corazzati del 68° Rgt.
Fanteria " Legnano " quel mattino del 30 Aprile transitava sulla
Verona-Brescia all'altezza di Ponti sul Mincio, ignara di una minaccia che si
sarebbe manifestata di lì a poco, nella festa generale di paesi liberati e nel
tripudio di tricolori.
All’inizio della colonna si
trovava la 104° Compagnia del IX Reparto d’Assalto seguita dalla 4° e l’8° ,
una volta raggiunta Peschiera, nelle ore più calde che precedono il pranzo, gli Arditi furono circondati da una folla festante per effetto della
liberazione, l’emozione di trovarsi li e vedere gli Italiani di nuovo liberi
dall’oppressione Nazista fu interrotta da un capitano del II Corpo d’Armata il
quale chiedeva al comandante della compagnia
Arditi di intervenire proprio nella zona di Ponti sul Mincio per
attaccare un reparto tedesco posizionato su Monte Casale che colpiva dal monte
tutti i mezzi in transito su quella rotabile.
Il comandante della compagnia si
trovò a decidere nel bel mezzo della festa se continuare con gli ordini avuti
in precedenza e quindi raggiungere Brescia o andare in aiuto dei partigiani della
“Avesani” che già dalla mattina stavano impegnando i Tedeschi nel combattimento.
Il comandante osservava gli
Arditi e rifletteva, scorrevano nella sua mente le immagini dei
combattimenti fatti fino a quel momento e del sangue versato, ed ora che tutto
sembrava finito ancora una volta occorreva entrare in contatto con il nemico.
La decisione fu presa, erano
Italiani, erano Arditi e partirono in aiuto dei partigiani.
Il Capitano Americano guidò gli
Arditi fino al contatto con il comandante “Bruto” della formazione partigiana “Avesani”.
Qui studiò il terreno e osservò che nei combattimenti della mattina avevano
perso già due uomini e circa ottanta tedeschi erano arroccati su quella piccola
collina denominata monte Casale in onore della Brigata “Casale” che qui si
scontrò durante la Prima Guerra d’Indipendenza.
I reparti tedeschi appartenevano
alle SS ed alla Flak ed erano decisi a non mollare, senza paura, senza
speranza, si erano arroccati all’interno di strutture militari costruite in
precedenza, forse per una postazione di contraerea.
Gli arditi cercarono di
indebolire le difese con l’intervento di mortai da 3 pollici e cannoni da 57-50
mentre fendevano la linea dell’orizzonte con mitragliatrici da 12,7; subito
dopo partirono all’assalto.
Alle 13:30 si mossero frontalmente
al nemico mentre i partigiani iniziavano la loro azione sulla destra.
La forza d’attacco degli Arditi
era di 30 uomini, compresi i volontari arrivati dai plotoni mortai, plotoni cannoni
e dai piloti dei carri; questi erano gli Arditi della Guerra di Liberazione,
questi i ragazzi della Legnano, questi gli attori del Secondo Risorgimento
Italiano.
Nelle sue memorie, il comandante
di quel plotone riporta l’emozione di
vedere tutti quei volontari andare incontro alla possibile morte.
Superarono di corsa il prato, che
separava la strada dalla collina e si ritrovarono, all’inizio della salita e del bosco con un solo ferito, ed iniziarono a strisciare nel
sottobosco.
I tedeschi risposero, facendo
fuoco con tutto quello che avevano, martellando la pianura e la base della
collina, erano difficili da individuare, perfettamente mimetizzati all’interno
del bosco, dentro buche e camminamenti.
Incontrarono e superarono anche
un reticolato, posto alla base della collina, lo fecero passandoci sotto, non
curanti delle punte aguzze ed arrugginite; l’unico ardito che tentò di saltarlo
fu falciato dalle mitragliatrici, era l’ardito Marcon, un volontario del
plotone cannoni forse poco esperto.. ma non meno coraggioso.
Gli Arditi partirono all’attacco
e per tre ore entrarono nelle buche, e nei camminamenti conquistando postazioni di mitragliatrici e mortai, i combattimenti sono corpo
a corpo, mentre a Peschiera e Brescia si festeggia con in mano le bottiglie di
vino, gli Arditi hanno in mano i pugnali insanguinati ed infieriscono sulla
carne del nemico, per poi ricordarlo negli incubi fino all’ultima delle loro
notti.
Lanciano le bombe a mano e si
gettano nei cunicoli quando ancora il fumo rende l’aria irrespirabile e
finiscono gli avversari in abbracci mortali, mentre a pochi chilometri gli
abbracci sono di gioia tra donne e soldati.
Gli Arditi urlano, muoiono,
chiedono soccorso, le grida in italiano e tedesco rompono la pace di quel
sottobosco, nella calura di un pomeriggio di primavera.
Con il coraggio e con tutto
quanto li faceva essere Arditi e quindi migliori, ebbero alla fine la meglio
sugli avversari che man mano si arrendevano, alzando le mani al cielo tra i
raggi di sole che filtravano tra le fronde dei rami di quella collina
finalmente conquistata.
L’aspetto del nemico era fiero e
disperato allo stesso momento, tutto gli stava crollando intorno, tutte le
certezze di un regime che li aveva illusi adesso non c’erano più e l’unica
certezza erano i propri cari, il rifugio dell’uomo quando si scopre solo e
vinto.
Il comandante delle SS fu ferito
alla 16:30, era un tenente, dal volto fiero e provato dalla fatica, con lui si arresero tutti gli altri e
la pace tornò su quella collina forse mentre un soldato ed una ragazza si
davano il primo bacio sul lungo lago di Peschiera, conquistati dal troppo vino
o dalla troppa voglia di ricominciare a vivere.
Per gli Arditi di Monte Casale,
quel tempo doveva ancora venire, poggiate le armi in terra era il momento di
raccogliere i caduti e soccorrere i feriti.
Alla sommità della collina c’era
un piccola casetta, fu il teatro principale degli scontri, qui raccolsero i
caduti trovati nel bosco, per poi riportarli a valle con l’aiuto di tutti.
Tra di loro anche un Americano,
la sua guerra, che poteva essere finita nella gioia di Peschiera, aveva avuto
un ultimo sussulto nella voglia di seguire gli Arditi, perché all’amicizia non
si comanda e Richard Albert Carlson partì all’assalto
come gli altri della squadra del Serg. Mag. Serpentini per poi lasciare la sua
giovane vita su quella collina accanto ai suoi amici italiani.
Tra tutti li colpisce l'Ardito Benedetti,
il suo corpo è l’inno degli Arditi, ma anche un tonfo per i cuori più provati.
Lo sentirono gridare a voce alta
durante i combattimenti: «Viva l’Italia! » e lo videro saltare in una
trincea col pugnale in mano.
Perso di vista lo ritrovarono
nella trincea abbracciato ad un tedesco entrambi con un pugnale nel cuore.
I caduti in totale saranno sei
mentre i feriti quattro.
Tornati sulla strada, inviarono i
feriti all’ospedale, misero i caduti sul carro di testa, per rendere gli onori,
e salirono insieme ai nemici sui carri di coda, in colonna, tutti insieme; in
quell’assurdo susseguirsi di scene che fanno della fine di ogni battaglia il
racconto del rispetto tra vincitori e vinti, che durerà fino all’ultimo dei
loro giorni.
Gli Arditi della Legnano, per la
liberazione d’Italia, 30 Aprile 1945
Penso che vi verrò a trovare su quella collina, promesso...
Blogger.
Prigionieri tedeschi della battaglia di monte Casale.
La zona oggi.... (foto di privati, pubblicata sul web)
Effettuando ulteriori ricerche, aggiorno questo post con informazioni sul soldato americano
Richard Albert Carlson, nato il 18 aprile 1920
a Saint Paul nella Contea di Ramsey nel Minnesota, Stati Uniti
d'America. Era il quarto di sei figli avuti da
Homer e Mary Carlson.
Non si sposò mai. All'età di 20 anni, il 10 febbraio 1941, si arruolò
nell'esercito degli Stati Uniti a Minneapolis, Minnesota.
Durante la seconda guerra mondiale, Carlson ha servito come Pfc. con il 616° battaglione di artiglieria campale della 10th Divisione di Montagna.
Fu insignito della:
Silver Star,
PurpleHeart,
Croce italiana
Medaglia di
bronzo al valore militare.
Carlson morì, appena 12 giorni dopo il suo 25 °
compleanno, appena nove giorni prima della fine della guerra.
Due giorni dopo
la morte di Pfc. Carlson ci fu il VE-Day e solo sei giorni dopo, l’ 8 maggio
1945 la Germania si arrese in Italia.
Il comune di Ponti sul Mincio gli ha dedicato un parco giochi
Per saperne di più...
Monte Casale: l’ultima pagina di guerra
di Roberto I. Zanini
Sentii conficcarsi a terra, accanto alla mia testa, una, due fucilate. Mi spostai rotolando e ancora uno, due colpi. Ce l’avevano con me. Intanto avevo intravisto la postazione dalla quale sparavano… A destra due americani avanzavano… Gridai a quello davanti: ‘Giù Paisà…’. Facevo segni disperati… Non feci in tempo a gridare ancora che vidi l’elmetto schizzare e il soldato cadere di peso… Non mi sono mai rassegnato di non essere riuscito a salvare Robert dalla sua morte assurda».
A scrivere è Valerio Volpini, intellettuale cattolico di Fano, direttore dell’Osservatore Romano, morto nel 2000 a 77 anni. Una breve testimonianza sul numero 22 di Famiglia Cristiana del 1996.
«S’intitolata ‘A ogni 30 aprile’. Un articolo nato per dire di quella «perdita», avvenuta il 30 aprile 1945 nella battaglia di Monte Casale, che l’autore (aveva 22 anni) non riesce a dimenticare. Qualcosa di apparentemente innocuo, che però avvia una polemica con lo storico Lodovico Galli, tale da far comprendere come anche un piccolo fatto di guerra (di quella guerra), letto da punti di vista opposti assuma significati contrastanti. Quel breve scambio di ‘lettere al direttore’ è stato ripreso dallo stesso Galli in una raccolta di testi editi e inediti intitolata “Pagine libere sulla Repubblica sociale italiana”(Trento, pagine 192, euro 15) in cui pubblica l’articolo di Volpini, la sua critica e la risposta del giornalista. Quella di Monte Casale, cinque giorni dopo la resa dei tedeschi, viene considerata l’ultima battaglia su suolo italiano della Seconda guerra mondiale. Siamo nei pressi di Ponti sul Mincio (Mantova), già teatro di scontri nella Prima guerra d’indipendenza (1848). I partigiani del Corpo italiano di liberazione, IX Reparto d’assalto della divisione Legnano, al quale appartiene Volpini, sono ingaggiati dagli americani nell’assalto a una postazione tedesca che non vuole arrendersi.
Secondo Lodovico Galli si trattò di un’operazione «assurda», che poteva essere evitata. I tedeschi, spiega nella lettera a Famiglia Cristiana, avevano ricevuto ordini di arrendersi solo a truppe regolari e «se invece di andare all’assalto si fosse proceduto con più cautela informando della presenza di soldati in divisa sicuramente si sarebbero arresi». Poi ricorda del buon comportamento che alcuni di quei tedeschi avevano avuto con la popolazione di Ponti sul Mincio e con lui, allora bambino di dieci anni. «C’era pure il mio amico Henri. Anche per lui una morte assurda sul Monte Casale. Non parliamo delle uccisioni criminali di militari germanici dopo la battaglia. Li misero sotto terra fuori dal cimitero di Ponti sul Mincio come fossero cani!».
Volpini risponde: «Io e lei su quel tragico frammento di realtà potremmo scrivere un romanzo… Ho visto un partigiano in agonia e la sorella urlare il proprio dolore. Un soldato mi ha raccontato dell’uccisione di due tedeschi, uno di questi aveva pregato: ‘Sei tu cristiano, non uccidere…’. Voglio però dirle che i tedeschi sapevano che erano di fronte a soldati. Si arresero solo quando il loro ufficiale venne ferito… Fu preso in consegna dagli americani. Anche i due che salirono sulla mia cingolata ‘brencar’ per essere condotti a Brescia. Subito funzionò la pietà… Senza dimenticare che la guerra chiusa il 25 aprile era stata contro la mostruosa follia nazista».
Il botta e risposta su Famiglia Cristiana termina qui. Sul libro, però, Galli si riserva «alcune considerazioni». «Avrà certamente ragione Volpini quando scrive che i tedeschi sapevano di avere di fronte dei soldati. Ma sapevano anche che due di loro arresisi furono uccisi, come scrive Volpini… Il giovane comandante era ferito ma vivo. Lo eliminarono nel rifugio. Si è scritto che fu portato in ospedale… Lo seppellirono invece fuori dal cimitero…». Parole che confermano quanto sia ancora difficile, a 70 anni di distanza, trovare letture condivise sui fatti di quei 20-21 mesi di storia italiana che seguirono l’8 settembre del 1943. (L’articolo è stato gentilmente concesso da Avvenire)