Facciamo seguito al nostro post dedicato agli aerei Italiani della Seconda Guerra Mondiale, che continua ad essere tra i più letti del nostro Blog, pubblicando un Post dedicato ad uno degli assi della Luftwaffe. La nostra passione per la storia ed i personaggi che la fecero, nel bene o nel male, ci porta oggi a conoscere Hans Ulrich Rudel.
Articolo tratto dal sito:
HANS ULRICH RUDEL
L’amazzacarri della Luftwaffe
Se ci possono essere pareri discordi su chi sia stato il
miglior pilota da caccia della Seconda Guerra Mondiale, per la specialità del
bombrdamento in picchiata non sussistono dubbi: il migliore in assoluto è stato
il tedesco Hans-Ulrich Rudel, un valoroso, che vanta al suo attivo un
impressionante e ineguagliabile record di vittorie: nel corso del conflitto si
aggiudicò ben 519 carri armati, ossia l’equivalente di due divisioni corazzate,
oltre 800 altri veicoli, 150 semoventi di artiglieria, ben 4 treni blindati,
una corazzata, un cacciatorpediniere, 70 battelli minori. Tutto questo nel
corso di 2530 missioni di guerra! Per rendersi conto dell’enormità di questa
cifra basti pensare che un pilota alleato medio non effettuò che, mediamente,
una cinquantina di missioni nel corso di un paio di turni operativi. Si può
dire a ragione che il solo Rudel ha svolto il lavoro di un intero Stormo!
Rudel nacque il 12 maggio 1916 in Slesia e fin da ragazzo
evidenziò una notevole passione per lo sport, il volo e la meccanica.
Presentatosi volontario nella rinata Luftwaffe, conseguì il brevetto di pilota
nel 1937, senza eccellere, tanto da essere assegnato ai bombardieri. Chiese ed
ottenne di essere destinato alla specialità appena costituita del bombardamento
in picchiata con gli Stuka e non ebbe mai a rimpiangere questa scelta.
Nell’estate del 1938 raggiunse la sua unità dislocata in Stiria. Ma fu
trasferito alla ricognizione tattica e in tale ruolo prese parte alla campagna
di Polonia.
Anche durante la campagna di Francia dovette continuare a
scattare fotografie, poi finalmente le sue reiterate richieste furono esaudite
e fece ritorno alla sua unità iniziale ora dislocata sulla Manica in attesa di
partecipare alla Battaglia d’Inghilterra. Trovandosi a dover competere con
piloti che si erano fatti le ossa durante le campagne precedenti, fu
assoggettato ad un ciclo di missioni di addestramento particolarmente intenso.
Raggiunse infine risultati degni di nota, ma aveva a che fare con un Colonnello
comandante del gruppo cui era poco simpatico e che continuò a negargli il
permesso di compiere missioni operative. Così anche quella importantissima
occasione sfumò, e per lo stesso motivo non gli fu consentito di partecipare
alle campagne di Jugoslavia e di Grecia, mentre i suoi camerati si coprivano di
gloria e di decorazioni Rudel era costretto a fare la parte della Cenerentola.
Possiamo facilmente immaginarci il suo disappunto.
Poi giunse il momento fatidico per il destino delle nazioni
belligeranti: il 22 giugno 1941 ebbe inizio l’Operazione Barbarossa,
l’invasione dell’Unione Sovietica! Inutile dire che lo St.G.2 Immelmann fu
spedito immediatamente in prima linea. La necessità di piloti addestrati era
tale in quei frangenti che anche Rudel finalmente fu impegnato in missioni
belliche. Fu un impegno diuturno e stressante: macchine e uomini iniziavano la
loro giornata «lavorativa» alle 3 del mattino e la concludevano solo a notte
fonda, dopo aver portato a termine anche una decina di missioni ciascuno.
Decollavano, attaccavano, tornavano a riarmarsi e rifornirsi, immediatamente
ripartivano verso un altro obiettivo e il gioco ricominciava, senza soluzione
di continuità. Si può ben dire che l’accoppiata carro armato- Stuka sia stata
la carta vincente della prima parte della Campagna di Russia, e gli
onnipresenti Stuka, agendo come una possente artiglieria pesante assai precisa,
consentirono le stupefacenti vittorie iniziali. Rudel e il suo fidato
mitragliere, il Sergente Scharnowksy, formavano un equipaggio affiatato ed
efficiente. E il nome di Rudel iniziò ad apparire di frequente sui bollettini
di guerra.
A metà settembre 1941 lo St.G.2 fu spostato sul fronte di
Leningrado. Infatti a Kronstadt era concentrata la Flotta russa, composta di
due anziane corazzate, alcuni incrociatori e parecchi caccia. La sua
consistenza non era certamente tale da impensierire la Flotta germanica, eppure
queste navi avrebbero potuto anche causare fastidi, con le loro artiglierie,
alle truppe germaniche. Pertanto si decise di neutralizzarle. E il compito fu
assegnato agli Stuka, i soli aerei capaci di tanto sia per precisione che per
calibro delle bombe impiegabili, le SC500 da 500 kg. Rudel, al primo attacco,
riuscì a mettere la sua bomba giusto sulla poppa, ma non fu in grado di
accertarne i risultati. Due giorni appresso riuscì ad affondare un
incrociatore. E non si creda che queste missioni fossero prive di rischi, anzi!
La base di Kronstadt era uno degli obiettivi meglio protetti da un’artiglieria
antiaerea numerosa e di tutti i calibri. Rudel poi mise a punto una sua tattica
di attacco che fu accettata dalla Luftwaffe: dopo la picchiata, anziché
richiamare per rifare quota rapidamente, cosa che esponeva lo Stuka in pieno al
fuoco della contraerea, Rudel decise di sfruttare la velocità acquisita per
cercare scampo volando sul pelo dell’acqua e fornendo all’artiglieria nemica un
bersaglio minimo in rapido allontanamento.
Finalmente il 21 settembre i ricognitori accertarono che la
corazzata russa Marat, già danneggiata da Rudel, era di nuovo all’ancora nella
rada di Kronstadt. Visto che le bombe da 500 kg non si erano dimostrate sufficienti
per un bersaglio di quella mole, furono rese disponibili le più pesanti SC.1000
da 1000 kg semiperforanti.
Ma anche i russi non erano rimasti con le mani in mano:
avevano provveduto a rinforzare notevolmente l’artiglieria controaerea.
L’intensità del fuoco da terra fu giudicata eccezionalmente elevata dai piloti
che presero parte alla missione. Per non parlare dei caccia nemici, che fecero
la loro apparizione in forze. Ma i caccia non potevano colpire uno Stuka in
picchiata, anche se costituivano una grave minaccia in fase di avvicinamento.
Per meglio sfuggire alla contraerea Rudel decise, a metà picchiata, di far
rientrare gli aerofreni per acquistare una maggior velocità. Si trattava di una
manovra assai pericolosa, perché superando la velocità limite avrebbe reso
impossibile effettuare la richiamata. Lo Stuka di Rudel, affiancato da quello
del suo comandante, il Capitano Steen, scendevano velocissimi in verticale
verso il ponte della grande nave che ingrandiva a vista d’occhio nel reticolo
di puntamento. Il cielo attorno a loro era pieno di lampi e di scie di
traccianti che salivano a getto continuo dalle postazioni a terra e sulle navi
minacciate. Grappoli di nere nuvolette sporcavano il cielo. Ma i due, con
tremenda determinazione, continuavano la loro corsa mortale. Giunto a soli 300
metri Rudel finalmente sganciò la sua bomba e tirò a sé la barra, mentre la
spaventosa accelerazione centrifuga lo rendeva incosciente. Quando riprese
conoscenza il suo mitragliere, un uomo flammatico che non si scomponeva mai,
gli annunciò che la corazzata era saltata in aria dopo essere stata centrata in
pieno dalla pesante bomba. Uno spaventoso globo di fuoco era scaturito dallo
scafo ed era velocemente salito verso il cielo, sostituito in pochi secondi da
una colonna di fumo nero alta almeno 400 metri. Della nave non restavano che
due tronconi semiaffondati.
L’inverno del 1941-’42 fu, a detta di tutti, uno dei più
rigidi che si ricordasse a memoria d’uomo, con temperature di – 40ºC e anche di
– 50ºC. Le forze germaniche si trovarono a dover combattere in condizioni
impreviste, alle quali non erano preparate materialmente. Il freddo era tale
che le sospensioni dei carri armati si spezzavano, il lubrificante si gelava e
rendeva inservibili armi e motori, le sentinelle spesso venivano trovate al
loro posto strasformate in statue di ghiaccio. Il erribile Generale Inverno,
che già aveva salvato la Russia dall’invasione napoleonica, riuscì a mettere in
crisi anche la modernissima armata germanica. Fu l’inverno il vero vincitore
della Campagna di Russia. Eppure Rudel e i suoi camerati riuscirono a costruire
un marchingegno atto a preriscaldare i motori degli Stuka, e a compiere
numerose azioni di contrasto. A Kalinin gli Stuka riuscirono ad arrestare una
potente forza corazzata che era riuscita a penetrare nelle linee germaniche
fino a giungere ad un solo chilometro dal campo d’aviazione. Più e più volte
gli aerei scesero a riarmarsi, senza neppure dover fare il pieno di carburante,
tanto vicini erano i loro obiettivi. Più e più volte si lanciarono in
piacchiata contro i carri avversari finchè anche l’ultimo fu distrutto. Fu
forse questa l’unica occasione della guerra in cui una battaglia ebbe unici
protagonisti i carri armati e gli Stuka e che vide la vittoria di questi ultimi,
sia pure di poco.
In primavera Rudel fu spedito in patria per un turno di
riposo, durante il quale, secondo la prassi corrente, fu impiegato come
istruttore per le nuove leve. Certamente miglior maestro non avrebbero mai
potuto avere. Al rientro in zona di operazioni lo St.G.2 fu inviato sul fronte
meridionale a Kersc. Su questo fronte Rudel ebbe a che fare con un treno
blindato che creava grossi fastidi, con le sue artiglierie, alle truppe
germaniche. Le numerose gallerie presenti lungo la linea ferroviaria fungevano
da sicuri rifugi in cui il treno si rintanava non appena gli Stuka venivano
avvistati.
Rudel allora si fece spedire una bomba perforante e, con un
lancio di precisione, riuscì a far crollare la volta dell’imboccatura della
galleria imbottigliando il treno al suo interno. Poi si ammalò di itterizia e
fu costretto al ricovero in ospedale. Ma l’inazione non faceva per lui, ragion
per cui si autodimise dall’ospedale e rientrò al gruppo, ora operante sul
fronte di Stalingrado. Rudel e i suoi camerati continuarono a compiere missioni
su missioni, in condizioni atmosferiche sovente proibitive, per allentare la
pressione sulle truppe di Von Paulus accerchiate nelle rovine della città.
Intanto non mancava mai di cercare di distruggere il maggior numero possibile
di carri armati, emulato in questo dai suoi camerati dell’St.G.2, alcuni dei
quali terminarono il conflitto con 250-300 carri distrutti all’attivo, mentre
parecchi altri superarono quota 100. Eppure i russi riuscirono a costruire un
numero di carri tale da poter ripianare le enormi perdite che subivano
quotidianamente.
Nella primavera del 1943 Rudel, con oltre 1000 missioni
all’attivo, fu inviato in patria per un turno di riposo come istruttore.
Convocato a Rechlin, gli venne mostrata la versione cacciacarri dello Stuka, lo
Ju.87G-1, armata con due potenti cannoni Flak 18 BK-3,7 cm appesi sotto le ali.
Queste armi antiaeree, grazie alla loro elevata velocità iniziale e a
proiettili perforanti a nocciolo di tungsteno appositamente progettati, erano
in grado di perforare la corazza laterale e posteriore dei più recenti carri
sovietici. Inutile dire che fra Rudel e lo Stuka Kanone fu amore a prima vista.
Era proprio questa l’arma fatta per lui. Ma anche i russi non erano rimasti a
girarsi i pollici. La contraerea leggera era stata potenziata di molto, e
l’aviazione da caccia, che costituiva il maggior pericolo per i lenti Stuka,
era divenuta, oltre che numericamente, molto forte anche come preparazione dei
piloti e come qualità dei mezzi impiegati. La Luftwaffe stava decisamente
perdendo il controllo dei cieli, il fattore che le aveva consentito fino ad
allora di tamponare le falle del fronte. Rudel nel frattempo era stato decorato
con le Fronde di Quercia da apporre alla Croce di Cavaliere. A novembre era già
riuscito a superare quota 100 carri distrutti con il nuovo Stuka Kanone. Ed
aggiunse anche le Spade alle Fronde e alla Croce. Inoltre era stato promosso al
grado di Capitano e posto a capo della sua squadriglia, poi fu fatto Maggiore
ed ebbe il comando del III/St.G.2.
Eppure questo uomo coraggiosissimo continuava imperterrito
ad esporsi in prima persona quanto e più dei suoi sottoposti. In un’occasione
effettuò un atterraggio d’emergenza in un campo per correre in soccorso di un
suo pilota abbattuto dai russi. Sotto un grandinare di proiettili sparati dalle
truppe nemiche che accorrevano riuscì a caricare il suo uomo e a decollare
proprio sotto il naso dei nemici. Ma Rudel non si limitò a dare la caccia ai
carri con lo Stuka Kanone. I russi avevano messo in linea un ottimo
assaltatore, il celebre Il-2 Sthurmoviç, un aereo dalla robustezza leggendaria,
dotato di spessa blindatura. Pertanto era quasi imperforabile dai colpi delle
mtg. antiaeree cal. 7,92 mm di cui disponevano le truppe germaniche, e poteva
fare i suoi comodi nella quasi totale impunità. Alla prima occasione buona
Rudel sperimentò l’effetto dei suoi BK 3,7 su di uno Sthurmoviç riducendolo in
pezzi.
In un’altra occasione, atterrato secondo il solito nei
pressi di un camerata abbattuto per soccorrerlo, il suo Stuka restò impantanato
e i quattro non riuscirono a liberarlo dalla morsa del fango, per quanti sforzi
facessero. Poi sopraggiunsero le truppe russe e i quattro si diedero ad una
fuga precipitosa per evitare la prigionia. Per scampare dovettero gettarsi
nelle gelide acque del Dniestr, e il mitragliere Henschel annegò. I tre
superstiti, giunti sull’altra riva, furono presi a fucilate da una pattuglia
nemica; Rudel, pur ferito ad una spalla, riuscì a non rallentare la corsa e a fuggire.
Dopo un lungo vagabondare, tormentato dalla fame e dalla
sete, dal dolore e dalla perdita di sangue, finalmente si imbatté in due
soldati germanici e fu soccorso, al limite dello sfinimento fisico. Il giorno
appresso era di nuovo in volo di guerra.
Mancando i rifornimenti dei preziosi e sempre più rari
proiettili perforanti al tungsteno, a volte lo Stuka Kanone era inutilizzabile.
Pertanto anche Rudel talvolta era costretto ad impiegare un normale Stuka
armato con bombe e due cannoni da 20 mm, ormai non più in grado di perforare le
corazze dei tank russi. Purtuttavia questo aereo, se ben impiegato, era ancora
in grado di causare gravi danni. I sovietici avevano – e hanno ancora –
l’abitudine di montare serbatoi supplementari sul retro dei loro carri per
accrescerne l’autonomia. Ma questo bersaglio assai invitante e pericoloso
costituiva un invito a nozze per il nostro eroe. Scoperta una colonna di carri
nemici, Rudel e i suoi si lanciarono all’attacco e, nel corso di varie missioni
eseguite durante la giornata, riuscirono a distruggerne ben 40, di cui 17 per
opera del comandante stesso.
Nell’estate del 1944 i russi erano all’attacco su tutto lo
sterminato fronte e stavano ricacciando indietro l’esercito germanico. Inutile
dire che gli Stuka erano chiamati in continuazione a tamponare le falle cusate
dalle infiltrazioni nemiche: naturalmente le perdite in azione crescevano di
giorno in giorno. Il Führer in persona aveva tassativamente vietato a Rudel di
effettuare missioni di guerra.
Ma da questo orecchio l’Asso degli Stuka pareva non sentirci
affatto e, forse per la prima volta in vita sua, disubbidì e continuò a
combattere. Tutti ne erano al corrente, Goering compreso, ma preferirono
tacere, tanta era la necessità di uomini di valore in quei momenti perigliosi.
Anche la sostituzione degli Stuka con la versione da attacco del Focke-Wulf 190
non lo convinse ad abbandonare il suo fedele amico di sempre e Rudel continuò a
combattere con il vecchio Stuka. Fu proprio grazie a questo trattore del cielo
che Rudel riuscì, ancora una volta, a salvare il suo sezionario Fickel e il
mitragliere atterrando nei pressi, prendendoli a bordo e decollando in tutta
fretta, mentre gli altri Stuka del gruppo impedivano alle truppe russe di
avvicinarsi troppo. Poi la fortuna sembrò abbandonarlo. Un colpo da terra
centrò in pieno il motore che si incendiò, mentre un getto d’olio imbrattò il
parabrezza togliendogli ogni visuale in avanti. Col motore bloccato, a bassa
quota, i due non potevano lanciarsi e Rudel fu costretto ad un pauroso
atterraggio cieco che si risolse in uno sfascio. Rudel ebbe la gamba trapassata
da uno spuntone del longherone alare che si era spezzato. I due per fortuna
furono rapidamente soccorsi da truppe amiche e condotti in salvo. Giunto al
campo, incurante della terribile ferita, Rudel volle immediatamente ripartire
in missione alla guida dei suoi uomini e li condusse all’attacco fino alla
totale distruzione della colonna corazzata nemica.
Poi fu ferito di nuovo dal fuoco di una mitragliatrice
pesante sparante da terra. Anche questa volta riuscì a rientrare alla base,
facendo appello alle ultime energie rimastegli. Dovette finalmente subire il
ricovero in ospedale, salvo di nuovo autodimettersi per tornare a combattere
con la gamba ingessata. A Natale del 1944 fu convocato al Quartier Generale per
ricevere la più alta onorificenza germanica direttamente dalle mani del Führer:
le Fronde d’Oro di Quercia con Spade e Diamanti da apporre alla Croce di
Cavaliere della Croce di Ferro. Era uno dei pochissimi ad avere ottenuto questa
decorazione, il solo dei reparti d’attacco al suolo. Ma se la era meritata
ampiamente. Inoltre venne promosso Colonnello, sia pure con il divieto di
volare. Rudel rispose che avrebbe rinunciato a entrambe e Hitler, che non amava
essere contraddetto, in questa occasione, posto di fronte ad una determinazione
simile, gli consentì di continuare a combattere.
Poi fu di nuovo ferito, questa volta da una grossa scheggia
che gli asportò la gamba sotto il ginocchio destro. Non domo, nonostante la
gravissima mutilazione, non appena gli fu possibile, poco dopo Pasqua, tornò a
volare e continuò a combattere fino all’8 maggio, giorno della resa della
Germania.
Preso prigioniero dagli americani, fu rimesso in libertà un
anno dopo. Nazista convinto, continuò a definirsi tale anche quando ciò poteva
essere pericoloso. D’altra parte per tutta la guerra non aveva mai scansato i
rischi, anzi, se li era andati a cercare in ogni occasione. Ci ha lasciato un
bellissimo libro di memorie, intitolato «Il Pilota di Ferro», edito in Italia
da Longanesi. Se riuscite a reperirlo, leggetelo con attenzione: vi chiarirà
parecchie cose.
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