Monumento alla Mamma Ciociara, Castro dei Volsci
Monumento alla Mamma Ciociara, Castro dei Volsci
Monumento alla Mamma Ciociara, Castro dei Volsci, in foto: Damiana Leone, attrice e regista
Il 14 maggio del 1944, prima che i Goumiers del Corps Expéditionnaire Français sferrassero il loro attacco alle postazioni tedesche arroccate sui monti Aurunci, consentendo alle truppe anglo-americane di aggirare Monte Cassino e di sfondare la Linea Gustav, il generale Alphonse Juin, comandante delle divisioni coloniali, inviò ai soldati marocchini il seguente proclama:
“Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete.”
Non esiste l’originale del proclama, che venne distribuito in migliaia di copie alle truppe coloniali marocchine, i Goumiers, e le autorità militari francesi ne hanno sempre negato l’autenticità, ma l’impunità di cui godettero gli autori dei crimini che ci accingiamo a descrivere ci autorizza a credere che essi furono perpetrati con la copertura, anzi con l’esplicito consenso dei vertici del corpo di spedizione, il che rende la questione dell’autenticità del proclama cosa irrilevante.
I Goumiers (dall’arabo “qum”, banda) erano eccellenti truppe di montagna e durante la battaglia di Monte Cassino, che portò allo sfondamento della linea Gustav e alla conseguente presa di Roma da parte degli Alleati, si distinsero per il loro straordinario coraggio. Così li descrive Fred Majdalany nel suo libro “La Battaglia di Cassino”:
“Agiscono come una marea su una fila di castelli di sabbia. Sono capaci di spingersi ad ondate su un massiccio montano dove truppe regolari non riuscirebbero mai a passare. Attaccano in silenzio qualsiasi avversario si presenti, lo distruggono e tirano via senza occuparsi di quel che accade a destra o a sinistra. Hanno l’abitudine di riportarsi indietro la prova delle vittime uccise; perciò sono nemici con cui non è piacevole aver a che fare”.
Ma ciò che fecero nei paesi ciociari da loro occupati al termine della battaglia rappresenta una delle pagine più nere dell’occupazione alleata. Uno dei primi a parlarne fu Alberto Moravia nel suo “La Ciociara”:
“…Cesira è una contadina ciociara che si è trasferita a Roma con il marito pizzicagnolo, molto più anziano di lei, che la lascerà vedova. La donna è costretta, così, a gestire il negozio ed a crescere la figlia Rosetta da sola, servendosi anche della borsa nera per arrotondare. In seguito all’occupazione tedesca del ‘43 le due donne, con due valigie, abbandonano Roma per rifugiarsi a Fondi. Lungo la strada, però, a causa dei bombardamenti, sono costrette a fermarsi e trascorrere un anno a Sant’Eufemia in attesa degli Alleati, fermi al fiume Garigliano. Le due donne vivono la realtà della guerra con il conseguente sovvertimento dei valori: “Uno dei peggiori effetti delle guerre è di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà”. Difatti, è proprio con la liberazione che arriva il peggio: Cesira e Rosetta vengono violentate da un gruppo di soldati marocchini in una chiesa abbandonata, davanti ad un’immagine della Madonna rovesciata. La violenza individuale dello stupro si somma alla violenza collettiva della guerra, distruggendo definitivamente l’innocenza di Rosetta che comincia a concedersi a tutti gli uomini con determinazione, come se questo fosse l’unico possibile riscatto”.
Fabrizio Carloni, nel suo “Il Corpo di Spedizione Francese in Italia , 1943-1944” ci aiuta a capire una crudeltà che appare così mostruosa a noi occidentali, facendo riferimento alla cultura e ai costumi di quei Berberi Marocchini che nella primavera del ’44 stuprarono e uccisero nei modi più efferati migliaia di donne, uomini e bambini nei paesi ciociari intorno a Monte Cassino:
“… Traevano grande gratificazione nell’avere rapporti con donne bianche…” le consideravano, secondo la loro tradizione, assecondata dal comando francese, prede di guerra.
Parliamo di gente che lo psichiatra algerino Malek Chebel descrive in questi termini:
“ L’itinerario copulatorio del giovane maghrebino campagnolo comincia spesso nei lombi delle bestie che è incaricato di accompagnare regolarmente…… Per le truppe africane agli ordini di Juin, le donne italiane erano “ haggiala”, termine che significa vedova o prostituta, tutte comunque “ qahba” puttane, nel linguaggio franco-arabo”.
Al termine della battaglia di Monte Cassino, cui i Goumier avevano dato un prezioso contributo, perdendo ben 5.000 dei loro 12.000 effettivi, si scatenò l’inferno. Numerosi paesi intorno all’abazia furono occupati dalle truppe coloniali, che si abbandonarono a spaventose devastazioni, saccheggi, uccisioni e soprattutto stupri, che non risparmiarono donne anziane, bambine, uomini e addirittura sacerdoti, come accadde a don Alberto Terrilli, parroco di Santa Maria di Esperia, che morì pochi giorni dopo a causa delle violenze subite.
Si calcola che in quei giorni i Goumier, soprattutto nei paesi martiri di Esperia, Ausonia e Castrocielo stuprarono circa 3.500 donne tra gli 85 e gli otto anni e circa 800 uomini (ma alcuni autori parlano addirittura di 60.000). Quelli che tentarono di difendere le loro donne vennero uccisi nei modi più barbari e alcuni vennero addirittura impalati.
Tra le vittime il 20% fu contagiato dalla sifilide e oltre il 50% dalla blenorragia e numerosi furono i casi di gravidanza procurati dalle violenze.
I responsabili di tali orrori, a dimostrazione del fatto che i vertici militari francesi ne fossero corresponsabili, rimasero impuniti. Uno solo dei criminali venne sottoposto a processo e fucilato. Questo fu il prezzo che gli alleati furono disposti a pagare per gli servigi resi dai Goumier in occasione della battaglia di Monte Cassino.
L’eco delle loro imprese giunse anche agli orecchi di Pio XII e ciò indusse il Sommo Pontefice a chiedere al comandante delle truppe che si apprestavano occupare Roma di non fare entrare in città i Marocchini.
Com’è avvenuto per le Foibe e per le stragi perpetrate dai partigiani comunisti durante e dopo la II Guerra Mondiale, anche quella delle “Marocchinate” è una storia rimasta a lungo dimenticata. Numerose sono le richieste di risarcimento presentate dai sopravvissuti e spesso disattese e solo il 15 marzo del 2004 il Presidente Ciampi rese pubblicamente omaggio alle vittime che hanno così avuto almeno un risarcimento morale che le ha sottratte alla damnatio memoriae.
A distanza di 69 (oggi 70.. nota di Blogger..) anni da quei fatti vogliamo ricordarle con le parole di chi ne conserva la dolorosa memoria:
“In tre iuorni, facettero l’inferno. Erano na razzaccia brutta e sporca. C’avevano gli ‘recchini agliu nase, certe vesti longhe … Pe tutta la montagna se sentivano strilli e lamenti… Arrivettero addò stavamo nui e con chisti ce stevano pure i francisi, chigli che gli cumannavano, e facettero stragi… Io c’avevo le mie cose, quando se ne accurgettero gli due che m’avevano sbattuta per terra s’alluntanarono…Sai quante vecchie so morte per gliu dolore.” (Concetta C.)
“Nui aspettavamo gli liberatori, arrivettero chigli da n’auta razza. Erano brutti, parevano gli diavoli. Ce rubettero chigliu poche che c’era rimasto e facettero tanto scempio della populazione… C’avevano carta bianca agliu fronte e facettero tutte chelle sporcizie agli omene e alle femmene… una strage. Chisti marocchini erano sporchi, come alle bestie. Erano niri con gli occie rusci, con gli ‘recchini agliu nase… na montagna piena, sbucavano da tutte le parte, pigliavano tutte le donne che incuntravano e se le purtavano alla boscaglia, passavano in colonna in mieso a nui… addò vuò scappà?… Nui le semo incontrati per la via e pure in mieso alla strada se pigliavano le femmene. Gli omene anziani che stavano con nui nun ce putevano soccorre pecchè loro erano assai e ammazzavano chilli che difendevano le donne…C’erano gli graduati che erano bianchi, francisi e non gli dicevano gniente. Iemmo a fa commedia agliu commando… ce dissero che per fa ì annanzi gli marocchini li avevano dovuti dà “carta bianca”. Solo alla fine, dopo tre iuorni, gli tolsero sta carta bianca”. (Giovannina M)
Le testimonianze sono tratte dal volume “Esperienza bellica e mutamenti sociali. L’impatto della guerra sulla popolazione civile del Frusinate 1943-1948″ del professor Tommaso Baris, docente di Storia Contemporanea all’Università di Palermo.-
Federico Bernardini
(brano tratto dal sito: http://lurlodimunch.wordpress.com)
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