lunedì 31 marzo 2014

31 Marzo, Monte Marrone, la conquista.

Il 31 Marzo gli Alpini del battaglione Piemonte conquistarono Monte Marrone, riportiamo alcuni brani del libro di Sergio Pivetta "Tutto per l'Italia", Diario di un alpino del Battaglione "Piemonte".

Le prime tre foto sono dedicate a Giaime Pintor, di cui riportiamo brevemente la storia.

Nato in una famiglia della piccola nobiltà sarda, da Adelaide Dore e Giuseppe, nipote di Fortunato, l'erudito bibliotecario del Senato, e fratello di Luigi, giornalista fondatore de il manifesto, si laurea in giurisprudenza appassionandosi però al dibattito letterario. Fedele all'illuminismo perché convinto della progressiva e razionale affermazione culturale dell'uomo, pubblica fin dal 1938 su riviste quali "Oggi", "La Ruota", "Aretusa", "Letteratura", "Campo di Marte", "Primato", a volte anche usando gli pseudonimi di Mercurio e di Ugo Stille (nomignolo, questo, condiviso con l'amico Misha Kamenetzky, che in seguito l'avrebbe fatto proprio). Fu con Leone Ginzburg, Cesare Pavese e Massimo Mila tra i primi e più efficaci collaboratori della casa editrice Einaudi.
Estimatore della letteratura tedesca, studiò Wolfgang Goethe e Friedrich Nietzsche (distanziandosi però da quest'ultimo per ciò che concerne la teoria del superuomo) e tradusse le opere di Rainer Maria Rilke, Heinrich von Kleist e Hugo von Hofmannsthal. In collaborazione con il germanista Lionello Vincenti curò, per il progetto "Pantheon" dell'editore Bompiani, la grande antologia Teatro tedesco, che conteneva anche alcune sue traduzioni e una serie di brevi saggi critici. Inoltre curò nel 1942 un'edizione del Saggio sulla rivoluzione di Carlo Pisacane, in cui egli vide una matrice socialista.
Nel gennaio del 1943 fu membro della missione militare italiana presso il governo di Vichy partecipando quindi alla difesa di Roma dai tedeschi. Dopo l'8 settembre si recò a Brindisi per arruolarsi per breve tempo nel nuovo esercito regio, poi a Napoli per unirsi a un gruppo di volontari organizzati dal generale Pavone. Infine si arruolò nell'esercito britannico che gli affidò il comando di un piccolo gruppo di soldati che avrebbe dovuto raggiungere i partigiani operanti nel Lazio. Sentitosi braccato dai nazisti, scrisse una lettera al fratello Luigi nella quale affermò l'importanza di aderire alla Resistenza.
Il 1º dicembre del 1943 cercò di attraversare le linee nemiche e raggiungere Roma per combattere il nazifascismo, accompagnato dall'agente del S.O.E. Max Salvadori, conosciuto con il nome di battaglia di "captain Sylvester", in un punto considerato sicuro per l'attraversamento dell'assedio nazista. Morì a soli 24 anni dilaniato da una mina che l'esercito tedesco aveva lasciato nella zona lungo il Volturno.
La desecretazione di alcuni documenti, ha permesso di scoprire che Pintor era stato reclutato dai servizi segreti inglesi a Napoli il 15 novembre 1943 con lo pseudonimo Stille. Risulta che non fu pagato e che la ragione del suo arruolamento era il patriottismo. Dallo stesso fascicolo risulta che nel giugno 1944 i servizi segreti fecero pervenire alla famiglia di Pintor 200.000 lire a titolo di risarcimento, il certificato di patriota e una lettera di condoglianze.
Da una cantina della famiglia Pintor sono riemersi, solo recentemente, vari scritti che fanno parte dell'officina artistica del giovane intellettuale: un dramma filosofico teatrale in due atti intitolato Tempo perduto, composto dai 'Dialoghi sulla vita di un uomo', probabilmente scritto nel 1941, dove è la morte a dominare sulla scena, non come prodotto dell'azione, sostituita qui da un dialogo in un salotto, ma come evento in tragica connessione con la vita, e una riduzione cinematografica de La figlia del capitano di Puskin, la quale non piacque al regista Mario Camerini. Mentre da una cassa, a lungo conservata dal nipote Giaime junior, è emersa la traduzione inedita de La dittatura di Carl Schmitt, della quale si aveva notizia, ma finora irreperibile. Testimonianza della poliedricità del lavoro di Pintor, pensato per la nuova collana di Diritto e Politica, progettata assieme a Cesare Pavese.

fonte dati: Wikipedia




Monte Marrone - lapide in memoria di Gaime Pintor



l'area del campo minato dove cadde Pintor






Monte Marrone



L'area antistante Monte Marrone, luogo di aspri combattimenti della 34a Div. Red Bull e 45a Thunderbird


Monumento al Corpo Italiano di Liberazione davanti a Monte Marrone














E tocca a noi. Scavalchiamo la linea del 68° e ci portiamo sotto le falde del monte accampandoci nel bosco. Ci risveglieremo, l’indomani, coperti da un mantello di neve. E poi, la mattina seguente, il 31, l’attacco. Sono passati ormai quasi settant’anni, ma lo ricordo come fosse ieri. Arrivammo in vetta di sorpresa, senza colpo ferire.
La 1a Compagnia, con gli alpieri, per la via più diretta, arrampicando in verticale.
La 2a a sinistra, spesso allo scoperto, sui nevai. La 3a sulla destra, nel costone boscoso.
Ci organizzammo subito a difesa.
Davanti alla 2a un pianoro scoperto, innevato, in sensibile discesa, una posizione eccellente, difficile da attaccare. Davanti alla 1a e alla 3a un fitto bosco, l’ideale per consentire al nemico di farsi sotto fino a pochi metri dai nostri reticolati. Come infatti sarebbe poi accaduto.
Più lontano, un secondo bianco pianoro che risaliva dolcemente verso Monte Mare e Colle Altare.
I tedeschi, lo avremmo scoperto solo due mesi più tardi, quando toccò a noi d’attaccare, disponevano, dietro al massiccio roccioso del Mare, di rifugi in caverna assolutamente sicuri, profondi e attrezzati. Noi della 2a sistemammo le canadesi come meglio si poteva, sulla neve. Quelli della 1a anche peggio, da loro la pendenza in qualche punto superava il 50 per cento.
La notte faceva freddino. Si toccavano, spesso, i 10-15 sottozero.
Io mi ero arrangiato, con un alpino della mia squadra, su una specie di cengia, sopra un candido letto di neve. E, per materasso, pochi arbusti. Quando, per riposare, tra un turno e l’altro di sentinella (quattro ore di guardia, otto di riposo) si toglievano, dentro la tenda, gli scarponi, li ritrovavamo tanto ghiacciati che per riscaldarli e non far gelare le dita bisognava pestare i piedi, dopo averli calzati, per almeno tre o quattro ore. Due alpini della mia squadra ci sfottevano perché avevano scoperto, a loro dire, un angolino ben riparato dal vento e al sicuro dalle cannonate, tra due pareti rocciose. Ma qualche vecchia guida alpina li aveva avvertiti di stare in guardia, anche se la neve sembrava solida. E difatti, dopo due o tre giorni, si mise a scricchiolare. Fuga precipitosa, appena il tempo di strappar via la tendina e il ponte di neve sul quale i due furbi erano andati a piazzarsi cedette. I primi giorni trascorsero tranquilli. Ci scaldavamo, con le pastiglie di menta (non si potevano accendere fuochi), qualche gavetta di neve, dadi per brodo, corned beef e biscotti, il “paston del can “. Ma era egualmente squisito.

Sergio Pivetta "Tutto per l'Italia", Diario di un alpino del Battaglione "Piemonte".

Foto dell'epoca:








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