lunedì 6 febbraio 2017

Uno Zio ritrovato

Quando, tanti anni fa, iniziai ad interessarmi alla ricerca di storie di soldati e uomini della Seconda Guerra Mondiale, non avrei mai immaginato di trovarmi una sera a raccontare di un soldato della famiglia di mia moglie, che per questo motivo considero un mio stesso parente.
Il sodato in questione, fratello di mio suocero, viveva nei ricordi di famiglia, era un prigioniero italiano deportato nei campi di concentramento in Germania e poi morto non lasciando traccia.
Era un nome, un vago ricordo, un dolore che riaffiorava ogni volta che si stava tutti insieme e qualcuno mi chiedeva in casa su come procedeva la mia passione, le cose che facevo sul Blog e nell’associazione.
Per mia suocera (Antonietta) erano i ricordi del fratello del marito, la gioventù; per mia moglie e le sorelle lo zio mai conosciuto; ricordi e pensieri che man mano salivano dal profondo materializzandosi negli occhi, che diventavano lucidi, lasciando sulle rughe di quella che è la mia ultima mamma le lacrime e lasciando il silenzio a tutti coloro che erano a tavola.

Pensavo ogni volta di aver sbagliato a parlare di storia ed accettare di rispondere a quelle domande, perché era come muovere il fondo del mare, l’acqua da limpida diventava torbida e la sabbia, mossa dalle onde, non lasciava vedere nulla.

Feci delle ricerche, trovai qualcosa, lo scorso anno, un cimitero di soldati Italiani in Germania, un piccolo cimitero dimenticato nel nord della Germania… entrai in un pomeriggio piovoso a casa di Antonietta e gli dissi che il fratello del marito era sepolto in un bel cimitero, piccolo, molto curato; dove al centro di piccole lapidi in marmo sventolava la bandiera Italiana.
Le mani si poggiarono sul cuore, si sedette per riprendere fiato e si rinchiuse in un pianto liberatorio, era lo Zio ritrovato.

Poi, venerdì scorso (3 febbraio 2017) da Luigi, il mio dentista, si parla di storia, di progetti, di manifestazioni culturali che faremo nel 2017, perché lui è un’altro che ha la storia dentro ed ecco che va nello studiolo e ne esce con un libro in regalo per me: Vallinfreda ed i suoi Martiri, di Eugenio Tiberi.

Guardai il libro, il dentista e dissi “lo zio di Natalia è di Vallinfreda!” e lui a seguire “vedi se parlano di lui!” e…

matricola n. 44361 Zarelli Ulisse
Deceduto il 20/3/1945 fronte Tedesco

E di seguito la sua storia, dal giorno della nascita, fino all’età adulta; contadino, buttero, dedicato completamente alla campagna ed ai ritmi imposti dalla natura.

Il 30 gennaio del 1942 fu chiamato alle armi, “un giorno che nevicava” come ricordano alcuni.
Uscì di casa, salutò i suoi, la sua amata Vallinfreda, la campagna e si diresse con il treno prima a Roma e poi a Zara dove prese servizio.

Il foglio matricolare non è stato compilato per intero e salta al 9 settembre 1943, quando Ulisse fu catturato dai Tedeschi e messo su un treno merci con direzione Germania; per loro era un traditore ma lui non aveva fatto nulla per esserlo.

Il viaggio fu tremendo; su treni merci, stipati come animali, tanto da decidere i turni per potersi sedere e per fare i bisogni, davanti a tutti, nello stesso vagone e nello stesso contenitore, che poi esondò lasciandoli nel fetore.

Arrivarono a Nordenham, una cittadina alla foce del fiume Weser, erano davanti al mare del nord.
Il freddo li aveva storditi fin dalle prime notti nel carro merci, la fame li aveva ridotti a brandelli, furono lasciati per ore sotto la pioggia fino a che non ottennero il loro nuovo nome, era un numero inciso su una piastrina da mettere al collo.

Per i Tedeschi non erano soggetti alle convenzioni di Ginevra ma erano IMI Internati Militari Italiani, su di loro avrebbero avuto la piena libertà di potere, fatta di maltrattamenti, angherie, violenze e torture, fisiche e morali. 

Li avrebbero distrutti nei mesi successivi uno ad uno, con la fame ed il lavoro forzato, in un inverno freddissimo davanti al mare del nord.

Alla fine, con il peso dimezzato e le continue percosse, per Ulisse Zarelli l’idea della morte e di non poter più tornare a casa faceva sempre più strada nei pensieri; ormai non si reggeva più in piedi e non riusciva a sopportare i pesi del lavoro che gli venivano dati in continuazione.

E fu così che dopo un anno e mezzo dall’ingresso nel campo di concentramento, un anno e mezzo di fame, percosse, maltrattamenti e lavori forzati, Ulisse, abbandonato nel letto dell’infermeria senza cure e assistenza, chiuse gli occhi e morì. Era il 20 marzo del 1945, aveva 23 anni.

Salutai Luigi, uscii dallo studio e presi a camminare per le strade di Roma in direzione della metro, il libro in mano ed una copia nello zaino, per Antonietta.
Contento per lo zio ritrovato ma anche triste per aver conosciuto la sua fine e la fine di tanti soldati italiani, tanti contadini che lasciarono la campagna chiamati alle armi.

La copia fu consegnata il giorno dopo, ma questa parte non ve la racconto, spero comprenderete.

Ulisse Zarelli, un contadino, un soldato Italiano; cresciuto e vissuto sotto il fascismo, indottrinato come tutti i ragazzi dell’epoca, chiamato alle armi per servire la patria in quell’alleanza scellerata fatta con la peggiore feccia umana che l’umanità ricorda; riunita sotto quel nazismo, che nello stesso momento stava chiamando dalla campagna altri giovani di 20 anni, per servire la patria e dominare il mondo.


Alla fine tutti questi contadini pagarono il prezzo il più alto.

Gli Italiani di Nordenham, riposano nel cimitero militare Italiano d'onore ad Amburgo.








Il cimitero militare Italiano d'onore ad Amburgo







Se volete ascoltare i suoni che mi hanno accompagnato in questa storia:







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