Hans, Karl,
Pepp,
la storia non
ricorda quasi mai i vinti, ne il dolore dei vinti.
Eppure, come
ho sentito dire questa estate dallo scrittore Rumiz, i soldati, quando cadono, devono ritornare
alla madre terra, insieme.
I soldati
devono riposare insieme nel luogo dove si sono immolati per cause giuste o
sbagliate e se dal loro sacrificio è nata la pace tra i popoli, questa pace dev’
essere rappresentata nel luogo dove loro riposano, non separati da steccati, ma
uniti.
C’è tanta
Europa nei cimiteri dei Balcani, dove Russi, Tedeschi, Polacchi, Italiani,
riposano insieme, in piccoli cimiteri nei boschi, molta di più che in luoghi
dove giganteschi altari di marmo li riportano di nuovo in fila, ordinati come
un plotone, un reggimento, un esercito, con a capo il loro comandante.
Nemmeno da
morti posso tornare cittadini liberi e riappropriarsi del destino comune ad
ogni uomo, tornare alla madre terra.
Questi
concetti mi hanno accompagnato nel corso di questa estate, quando, visitando
piccoli paesi della Baviera e delle alpi Austriache, mi sono fermato a cercare
le tracce della guerra dei vinti, attraverso le croci dei cimiteri di campagna,
dove i più fortunati, se posso usare questo termine, sono tornati a casa per
essere onorati e ricordati dai loro cari; nella loro terra, essere scaldati dal
loro sole, dalla loro rugiada del mattino tra i colori delle loro valli.
I vinti, i
soldati che combatterono per un ideale errato, riposano in piccoli cimiteri,
spesso posti dietro chiese piccolissime al centro di valli incantante.
La campana
rintocca ad ogni ora e ad ogni quarto, rompendo la pace di quei luoghi, il
cancello cigola del ferro che ha bisogno di un po’ di olio ed i passi
vengono amplificati dal fondo fatto di sassi, quasi a dire, ad ogni passo, di
usare la dovuta cautela per non rovinare il silenzio e l’atmosfera
di quei luoghi.
C'èrano i soldati tornati a casa, dopo essere stati chiamati al sacrificio per conquiste e ideali,
giusti o sbagliati.
E camminando
con animo sereno e rispettoso, con la voglia di onorare anche i vinti, ritornati
alla madre terra, mi sono avvicinato ad una grande lapide nera, con
impressi tre nomi: Hans, Karl, Pepp.
Tre ragazzi
Austriaci che la madre aveva messo al mondo ignara della fine che avrebbero
fatto e del dolore che le avrebbero lasciato per il resto dei suoi anni.
Hans, Karl,
Pepp, della famiglia Neuner; nati rispettivamente nel 1916/17/15 furono
richiamati da Hitler a combattere per la grande Germania; partirono dal
minuscolo paese di Telfs a pochi chilometri da Innsbruck, immerso nelle verdi
colline lungo il fiume Inn e vennero inquadrati nei reparti migliori della Wehrmacht
e delle SS.
La loro storia
finisce nella steppa della Russia, rispettivamente nel 1941-43-44.
Tre figli,
tutti e tre donati alla Germania, tutti e tre caduti in Russia.
Ho subito
ripensato alla famiglia Niland, a Frederick Niland , detto “Fritz”, Caporale
della 101° Aviotrasportata e dei suoi 3 fratelli; due caduti in Normandia e l’ultimo
inizialmente creduto morto in Asia e poi ritrovato come prigioniero.
La storia
della Famiglia Niland ispirò Spielberg , che portò sul grande schermo il film “Salvate
il sodato Ryan” vincendo il secondo Oscar della carriera.
Qui, nel
silenzio di questa valle, lungo il fiume Inn, che scorreva lento, non c’èra il grande schermo a
ricordarli, non c’èra un'oscar vinto per una regia magistrale.
C’èra una
madre che aveva vissuto il resto dei suoi giorni ricordando i suoi figli; Hans,
Karl, Pepp, correre con i loro capelli al vento lungo le vallate dietro alle
mucche e poi dietro alle donne, nei migliori anni della loro vita.
In seguito, a 25, 26
e 29 anni, qualcuno decise che erano di una razza superiore e dovevano
conquistare e sottomettere tutti gli altri.
Scoprendo le loro foto, coperte dal colore del tempo, spiccavano i loro volti e le loro divise e nella foto di Karl, vidi le mostrine con
il simbolo delle SS. Tanti pensieri e tante domande affollarono la mia mente, mentre una nebbia bassa iniziava coprire tutto, presagio di un temporale
che da lì a poco si sarebbe abbattuto su di me, domande che non ebbero risposte perché le risposte giacevano sotto quella lapide e sparirono all'orizzonte come un treno che riparte dalla stazione.
La piccola
maniglia del cancello di ferro fu aperta e richiusa, il cigolio si perse nella valle come il rintocco
della campana, a distanza vedevo ancora la luce fioca del lumino che avevo
acceso per quei tre ragazzi, divenuti soldati a vent’anni e caduti nella steppa
di Russia e per quella madre che nessun libro, nessun film aveva ricordato.
"Nella memoria
dei vincitori spesso non c’è posto per i vinti", pensavo davanti ad un caffè bollente, mentre cassiere gentili si sforzavano di salutare i turisti Italiani dicendo ciao, "forse per questo continuiamo a
fare guerre" pensai, ma è sicuramente per questo che ho cercato e trovato, Hans Karl e Pepp.
Perché nella nostra memoria c'è posto anche per i vinti, condizione base per vivere e mantenere la pace.
Perché nella nostra memoria c'è posto anche per i vinti, condizione base per vivere e mantenere la pace.
Luigi Settimi,
Telfs, Austria.
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