Oggi, 13 Settembre 2014, torniamo indietro di 71 anni per rivivere alcuni momenti che videro protagonisti i Bersaglieri del LI° ed in particolare due nostri eroi; Leone Orioli e Gianni Recchi.
L'amicizia che nasce in guerra è un'amicizia particolare, più forte delle altre, per questo tra i soldati, a distanza di anni, resta immutabile, viva, bella.
E' un'amicizia che nasce in circostanze dolorose e tragiche, quando si è soli di fronte alla morte, quando un compagno d'armi ti copre le spalle e tu fai lo stesso con lui.
E' un'amicizia che nasce dal pezzo di pane diviso a metà, dalla coperta data a chi ha più freddo, dalle cure prestate a chi è ferito o dal suo recupero di fronte alle armi del nemico.
Un'amicizia che cresce di giorno in giorno in attesa della tregua o della fine del conflitto, dai racconti di una vita vissuta e spensierata scambiati dentro una buca sotto un cielo stellato nei rari momenti di calma.
Un'amicizia che spesso nasce da una mano tesa dal cassone di un camion, mentre ci si appresta a salire per andare al fronte; un sorriso, un po' di posto recuperato tra i tanti sacchi, i soldati e le armi.
Una stretta di mano che non finirà più, come quella tra Leone e Gianni, e nel giorno del compleanno di Gianni Recchi vogliamo raccontarvi la loro storia con le parole di Leone Orioli.
Buona lettura.
Brano tratto dal libro di Leone Orioli "Montelungo, il riscatto"
.....13 settembre 1943 - In pochi giorni intanto si era
rapidamente allestita, a nord di Bari, una
robusta linea difensiva protetta da solide palizzate: una sola apertura mobile,
posta sulla litoranea,
consentiva, volta a volta, l’ingresso agli automezzi militari
o, comunque, a
quelli regolarmente autorizzati.
La mattina del 13 settembre 1943,
dal Comando Divisione Costiera di Bari, giunse
con una piccola
autovettura un capitano di artiglieria, inviato in missione speciale per accertare,
con la migliore precisione
possibile, la posizione e la consistenza
dei reparti tedeschi, a nord della
zona fino a quel momento tenuta sotto il
controllo volante delle nostre pattuglie.
Questo ufficiale chiese di essere
scortato e protetto da una pattuglia di bersaglieri.
La nostra squadra, designata
pattuglia di scorta per quella missione, partì quella mattina alla volta di Trani, bella cittadina toccata altre volte in
precedenza dalle nostre pattuglie, ultimo
confine ritenuto ancora accessibile. Si sapeva infatti che nella prossima,
vicina Barletta si era insediato un forte distaccamento tedesco, che aveva
disarmato il presidio militare italiano.
Il comando della pattuglia era stato affidato al tenente Nai, al quale era
stato affiancato il
sergente Riccardi.
Il bravo, attivo sergente Giuseppe Riccardi, era ben conosciuto da tutti gli allievi
della terza Compagnia, per le sue doti
di ottimo sottufficiale, per un suo
caratteristico
comportamento, per il suo curioso
modo di parlare. Era figlio di italiani
all’estero, vissuto per anni in Francia,
aveva qualche difficoltà ad esprimersi in lingua italiana corretta; intendiamoci, si faceva intendere benissimo, ma certe sue espressioni colorite
erano divertenti.
… stringi
i “polpi” pappagallo …
era il suo incitamento in campo sportivo, quando intendeva spronare gli allievi a tendere i muscoli con
maggiore intensità.
Di forte fibra
fisica, aveva il busto piuttosto lungo e le gambe, per contro,
visibilmente corte.
Per questo suo aspetto e struttura, che condizionava un poco anche il suo modo di
correre, quel burlone di Gianni, lo
aveva fotografato con
immediatezza e soprannominato “Paperino”
- e … Paperino …
era diventato per
tutti noi.
La pattuglia giunse in mattinata a Trani; in quella cittadina era di stanza
un reggimento del
Genio, con effettivi
di circa duemila soldati.
La vita scorreva
tranquilla in quella
bella, ampia caserma.
Sistemammo
le motociclette e
l’autovettura dell’ufficiale in
missione nel cortile
dell’edificio: annoto che il tenente
Nai, come ha fatto in altre
occasioni, mi affida in custodia le
chiavi dell’accensione della sua monoposto
Nelle moto di noi bersaglieri non c’è bisogno di chiavi per l’accensione
del motore.
Accolti cordialmente dagli ufficiali e dal comandante
del reggimento, prendemmo posto nel
locale messo a disposizione, facendo subito amicizia con quei
soldati. La pattuglia aveva svolto il
suo compito di scorta e protezione per l’andata: ora si
doveva attendere che l’ufficiale
portasse a termine la sua indagine,
pronti ad accogliere ed eseguire
le sue disposizioni, per poi
scortare il ritorno a Bari.
Eravamo dunque in fase di attesa, e si cercò di passare il tempo nel modo
migliore.
Io avevo intanto notato che i magazzini della caserma erano ben forniti
di materiale; a me interessava il magazzino delle scarpe, particolarmente degli scarponi, perché i miei
avevano le suole che, a ogni passo,
si aprivano come le fauci di un
coccodrillo, rendendo naturalmente
difficoltosa la camminata: il mio capitano non aveva
potuto darmene un nuovo paio, non
avendo scorte a disposizione.
Feci subito richiesta all’ufficiale addetto, e poi
anche al comandante del reggimento, per avere un paio di scarponi nuovi, visto
come erano ridotti i miei. Mi fu
risposto, nonostante avessi insistito nella mia richiesta anche con
richiami alla particolare emergenza del momento,
che per le rigide norme militari
vigenti al riguardo, non potevo essere
accontentato: io non facevo
parte dell’organico del
reggimento.
Siamo dunque in attesa nella caserma del Genio.
Giunge
d’improvviso di corsa un
soldato che urla … i tedeschi ! … portano via
gli automezzi dal nostro deposito …
Saltiamo tutti d’impulso sulle motociclette e rapidissimi ci avviamo sulla strada diretti al vicino edificio che ci viene indicato
come deposito degli automezzi.
Siamo in colonna:
davanti a tutti il sergente
Riccardi, io subito dietro e poi in
ordine tutta la pattuglia, Gianni, Mario,
Giorgio, Edoardo, e gli
altri.
Nella furia del momento non ho pensato di rendere al tenente Nai
le chiavi della sua
moto. Non è stato quindi in grado
di seguirci ed esprimerà poi il suo vivo
disappunto, con un aspro rimprovero a
me, colpevole di averlo costretto alla
inattività: rimprovero duro ma subito
attenuato dalla disposizione benevola dell’ufficiale e per la chiara evidenza
della mia involontaria
omissione.
La pattuglia si avvicina, notiamo subito, anche da lontano, un automezzo
già sulla strada, appena fuori
dal cancello del deposito: i tedeschi vi stanno
armeggiando sopra. Appena
vedono sopraggiungere in moto la pattuglia, abbandonano il camion e,
rapidissimi, si raccolgono sulla loro
camionetta posta sul
davanti dell’automezzo appena
requisito.
Con le armi in pugno i tedeschi, visibilmente tesi e
preoccupati (li vedo chiaramente, siamo ormai molto
vicini), attendono una nostra
mossa; hanno evidentemente riconosciuto i bersaglieri di Bari, e sanno
che possono essere
pericolosi: hanno ragione … incoscienti … decisi … quindi pericolosi …
Riccardi,
davanti a me, a venti/trenta
metri dai tedeschi,
ferma la moto, scende, non pensa che
la pattuglia intera, ancora in
sella in colonna sulla
strada è un facile obiettivo per i tedeschi: d’impulso
afferra il Beretta dalla tracolla
e lo alza sopra la testa, rapidamente,
in un chiaro
gesto di minaccia: … e i tedeschi sparano immediatamente io vedo
sgranarsi sul muro di cinta del deposito
la scarica dei proiettili, a pochissima
distanza sopra le
nostre teste. La tensione ha fatto sbagliare
i tedeschi, una
mira più calma
avrebbe certamente procurato
gravi danni alla pattuglia. In un
attimo siamo tutti a terra, apriamo il fuoco a nostra volta: io sono
steso accanto a Riccardi, su un piccolo
ammasso di ghiaia, gli altri, dietro, sparano, chini o ritti, valendosi
della protezione degli
alberi del viale.
Riccardi è sulla mia sinistra, un poco più avanti di me sul piccolo cumulo di sassi
sul quale siamo
quasi aggrappati: Riccardi spara furioso
con il suo
mitra, vuole avere il campo di tiro più aperto
e cerca una
posizione più alta, o
più comoda sulla ghiaia; spinge allora con il piede sui sassi
per tirarsi più su, ma non trova presa sufficiente e io vedo sulla mia sinistra
le sue gambette corte sparare
calci furiosi, senza
risultato.
Dire che,
in un
momento critico come quello, lo scalciare di Riccardi mi
ha fatto sorridere,
può apparire eccessivo, “una bravata”, ma io sorrisi.
Il fracasso era infernale. Confesso che ero un po’ preoccupato dal fuoco dei compagni
della pattuglia che erano dietro di noi:
io e Riccardi eravamo infatti
sulla strada tra i tedeschi
e il resto
della pattuglia.
Vedevo la camionetta
tedesca impegnata nel tentativo
di avviarsi per sottrarsi al nostro tiro e quasi nello
stesso momento avvertii
un piccolo colpo alla nuca; sorpreso
portai la mano sul
punto toccato (il colpo era
stato lieve, nessun
dolore) e la
ritirai piena di
sangue. Un poco perplesso attesi
un momento a
capo chino: non avevo dolore, né altri sintomi, eppure
era chiaro che
ero stato colpito
da qualcosa. Non avvertivo nulla di preoccupante,
così, quasi tranquillo, rialzai la testa e
ripresi in mano
il mio moschetto.
La camionetta
tedesca era ormai lontana, la sparatoria
cessò, la scaramuccia terminata: lievissimi i danni sopportati dalla
pattuglia, esplose alta la soddisfazione per
avere sventato il tentativo
tedesco di sopraffazione.
Ci fu festa attorno ai bersaglieri, mentre
una premurosa infermiera mi portò
dal medico della caserma per una medicazione.
Oltre a me, Sergio Agus aveva
riportato una ferita, fortunata come la mia: era stato colpito da un proiettile alla mano destra che
sosteneva il moschetto, gli aveva
lasciato una riga tra il pollice e l’indice, quindi vicinissima alla guancia sulla
quale appoggiava il
moschetto in posizione
di tiro.
Mentre mi medicava,
il medico disse
… girati che ti voglio guardare in faccia … porta una candela a S.Antonio … la pallottola ti ha lasciato la riga nei capelli … Mi aveva appena sfiorato la nuca.
Nel tempo mi sono sempre chiesto come,
nella posizione in cui mi trovavo,
una pallottola dei tedeschi abbia potuto sfiorarmi la nuca in quel modo.
Non
direttamente certo, mi avrebbe colpito, magari di striscio, ma su un lato della fronte; forse di rimbalzo ma, anche in
questo caso non
con una traiettoria
così orizzontale.
Non mi posi
allora questo interrogativo, nessuno
ci pensò: ci ho riflettuto dopo, come ho detto, e ho
ricordato che io e Riccardi, sulla
strada, eravamo di
fronte al cancello
del deposito; proprio in linea diretta con il cancello e il piazzale interno del magazzino dove avevo
visto correre dei soldati, e questa linea era perfettamente compatibile con la traiettoria del
proiettile che poteva
avermi ferito in
quel modo alla
nuca...vuoi vedere
che mi ha sparato qualcuno dall’interno del deposito ? …
Non voglio pensarci più. rammento
che quel burlone di Gianni, ricordando
Trani … che lui chiamava
la sacca di
Trani … commentava, ridendo,
… leo è diventato
un eroe, ferendosi
con il filo
della frizione …
Grande Gianni ! Il
13 settembre era
il suo compleanno ! A distanza di oltre sessanta
anni, il 13 settembre di ogni anno ci scambiamo
gli auguri … io a lui per il compleanno effettivo… lui a
me, perché, dice,
quel giorno sei
nato una seconda volta … "
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